Potenzialità e limiti della carne coltivata: la carne pulita a basso impatto ambientale.

La carne coltivata – detta anche carne artificiale, carne sintetica o carne in vitro – non proviene da un animale vivo, ma da cellule animali che sono nutrite con sieri di origine vegetale o animale all’interno di bio-reattori che le permettono di crescere fino a diventare tessuto muscolare. Le prime ricerche sulle colture in vitro di cellule muscolari risalgono al 1971, con la produzione di un tessuto muscolare derivato dal maiale. Ma soltanto nel 2001, negli Stati Uniti, iniziano i primi esperimenti sulla produzione di carne coltivata da cellule di tacchino.

Nel 2009  un gruppo di ricercatori olandesi annuncia la produzione di carne in laboratorio utilizzando cellule di un maiale vivo, non macellato. Evento, questo, responsabile di una forte spinta alla ricerca in materia, che vede, nel 2012, ben trenta laboratori di biotecnologie alimentari in tutto il mondo iniziare a lavorare sulla carne coltivata. Nell’agosto del 2013 si presenta al pubblico il primo esemplare: un hamburger prodotto in laboratorio, nell’ambito di una ricerca della Maastricht University, in Olanda, a partire dalle cellule staminali prelevate da una mucca viva.

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La reazione degli Stati Uniti, Singapore ed Europa

Nel 2018, la Food and Drug Administration (FDA) e il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, hanno annunciato il loro ruolo di “controllori” della produzione di carne coltivata, con l’obiettivo di promuovere tale prodotto e di mantenere i più elevati standard di salute pubblica. L’arrivo del prodotto sulle tavole dei consumatori americani era previsto già a partire da questo 2020, ma l’iter è stato arrestato dalla pandemia da Covid. Ad oggi, Singapore è il primo paese al mondo ad avere approvato, con una normativa specifica, la vendita di carne coltivata in laboratorio. La normativa emessa, datata dicembre 2020, è la prima al mondo in tema di carne artificiale non proveniente da animali macellati.

Più complicato lo scenario in Europa, dove all’affermazione della carne ottenuta in vitro ci sono ancora molti ostacoli di tipo economico, etico e relativo all’impianto regolatorio. Un primo grande sbarramento proviene dagli allevatori, i quali temono la chiusura, nel tempo, delle proprie imprese. In Italia, ad esempio, Coldiretti, citando un’indagine dell’Istituto Ixè, sottolinea che “tre italiani su quattro giudicano negativamente l’arrivo sul mercato di carne coltivata in laboratorio”, preoccupati dalle ripercussioni dell’applicazione di queste tecnologie sia dal punto di vista degli impatti sulla salute, sia sotto il profilo etico. Contraria anche Assocarni, l’Associazione Nazionale Industria e Commercio Carni e Bestiame che, riguardo all’apertura degli Stati Uniti alla commercializzazione della carne in vitro, fa notare come gli americani abbiano una concezione del cibo differente, intesa come “nutrimento” e non come un “fattore di gusto e di cultura”.

I vantaggi della carne coltivata: dagli aspetti etici, l’impatto ambientale e la salute

Secondo le stime della FAO, nei prossimi 30 anni, la richiesta di carne potrebbe crescere di più del 50%, passando da 258 milioni di tonnellate nel 2005/2007 a 455 milioni nel 2050, dovendo nutrire 9 miliardi di persone da qui al 2050. Una risposta a questa sfida potrebbe essere proprio la  produzione in laboratorio di carne artificiale che potrebbe contribuire anche a risolvere il problema  della denutrizione. Per quanto riguarda il profilo etico, l’aspetto di rilievo legato alla produzione di carne coltivata in laboratorio, riguarda l’eliminazione della necessità di allevare e di macellare gli animali. A tal proposito è utile ricordare che, come riportato dall’Associazione animalista francese L214, ogni anno vengono uccisi 67 miliardi di animali nel mondo e che solo negli Stati Uniti, ogni anno, vengono uccisi circa nove miliardi di polli e 32 milioni di bovini.

La carne coltivata risulterebbe avere un impatto ambientale minore rispetto a quello della carne da macello. Infatti, secondo uno studio di Nature, la produzione di cibi di origine animale produce tra il 72% e il 78% dei gas serra di tutto il settore agricolo mentre gli primi studi dell’Università di Oxford e dell’Università di Amsterdam nel 2011, mostrano come la carne coltivata abbia il potenziale di generare fino al 96% in meno di emissioni di gas serra e di consumare tra l’82% e il 95% in meno di acqua rispetto alla carne tradizionale europea.

Un altro vantaggio della produzione di carne in vitro sono i benefici diretti e indiretti per la salute. Infatti la carne coltivata potrebbe ridurre notevolmente i rischi legati all’avanzamento della resistenza agli antibiotici e l’emergere di possibili nuove epidemie derivate dalla trasmissione di virus tra specie incrociate. Secondo la Food and Drug Administration, fino all’80% di tutti gli antibiotici venduti negli Stati Uniti sono dati agli animali, incoraggiando l’emergere di batteri resistenti che possono essere dannosi per l’uomo.

Alcune controversie sulla carne coltivata

Uno dei maggiori ostacoli alla larga diffusione della carne coltivata in vitro è  il prezzo, legato al costo molto elevato dei fluidi ricchi di nutrienti usati per far moltiplicare le cellule animali. Inoltre, come spiegato su The Conversation, la possibilità di coltivare carne in laboratorio rischia di far passare il messaggio che pur di non rinunciare alla carne siamo disposti a procedimenti molto complessi e molto costosi quando invece bisognerebbe immaginare un mondo in cui gli animali siano davvero “liberati”, e non semplicemente un modo alternativo per riaffermare la centralità della carne nell’alimentazione, nell’economia e nella cultura.

Un buon compromesso potrebbe essere quello di accogliere la carne coltivata come una notizia positiva, anche se non la soluzione definitiva, e allo stesso tempo favorire e sostenere allevamenti che siano i più etici e sostenibili possibili.

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Giovanni Binda

Giovanni Binda

Giovanni Binda, aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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