La decarbonizzazione, in virtù della crisi energetica mondiale in atto, è il processo verso cui tendono le politiche energetiche attuali, orientate a uno sfruttamento sostenibile delle risorse necessarie per soddisfare i fabbisogni economici. Finora si è sempre ricorsi al petrolio, al gas naturale e al carbone, ma si tratta di fonti fossili che producono energia attraverso un processo di combustione che rilascia in atmosfera gas serra, tra cui la CO2.

In questo senso quindi decarbonizzare mira a sottrarre queste sostanze inquinanti, riducendo sempre più l’uso di fonti per produrre energia, a favore di quelle rinnovabili, meno impattanti sull’ambiente. Ovviamente questo processo deve riguardare anche la plastica, dato che il 99% di quella vergine proviene dal petrolio e dal gas naturale.

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Questo tema è l’oggetto de “La plastica in Italia: vizio o virtù?” che si terrà questa mattina presso il Palazzo Santa Chiara a Roma. Il workshop è organizzato da ECCO – primo think tank italiano indipendente per il clima – che presenta il rapporto sulla decarbonizzazione nella filiera italiana della plastica. Il documento è stato elaborato in collaborazione con Franco La Mantia, ingegnere chimico e docente dell’Università di Palermo, Cluster Spring, associazione attiva nell’innovazione sostenibile e bioeconomia circolare, Greenpeace e l’Università di Padova.

Lo studio di ECCO sulla decarbonizzazione della plastica

ECCO individua tre pilastri fondamentali come strategie per raggiungere la competitività in Europa, rispettando gli obiettivi climatici per il 2050:

  • ridurre i consumi, specie riguardo “l’usa e getta”
  • aumentare la vita utile della plastica attraverso il riciclo
  • sostituire la materia prima fossile con quella vegetale (biobased)

Per inquadrare il contesto, ecco in breve alcuni dati. L’Italia è il secondo paese consumatore di plastica in Europa. Nel 2020 il consumo di polimeri fossili è stato di circa 6 milioni di tonnellate per un totale di quasi 100 kg a persona, l’equivalente di 1,2 kg di CO2 per ogni kg di plastica immesso nell’atmosfera. Ciò nonostante, solo poco più di un terzo dei rifiuti in plastica è avviato al riciclo, mentre le bioplastiche si fermano al 6% nel mercato.

Di questi consumi, il 42% proviene dal settore imballaggi e “usa e getta”, solo il 12% dall’edilizia e il 7% dal settore dei veicoli a motore. Secondo il rapporto di sostenibilità 2021 di Tetra Pak il tasso di riciclo globale dei cartoni è del 27%, aumentato solo del 3% dal 2015. L’allineamento alla direttiva europea SUP del 2019 – che contrasta l’incidenza dei prodotti di plastica monouso che più impattano sull’ambiente acquatico e sulla salute umana – impone agli Stati membri il 90% di raccolta di bottiglie per bevande in plastica entro il 2029.

“A buon rendere, molto più di un vuoto” contro lo spreco degli imballaggi

Questa la campagna nazionale promossa dall’Associazione Comuni Virtuosi, rappresentata nell’evento di oggi da Silvia Ricci – referente rifiuti economia circolare e coordinatrice della suddetta iniziativa – che interverrà nel panel dedicato al primo pilastro del rapporto che verrà presentato dal think tank ECCO.

Il proposito è introdurre a livello nazionale un Sistema di Deposito Cauzionale – sintetizzato in DRS (Deposit Return System) – sugli imballaggi monouso di tutte le bevande in bottiglie di plastica, alluminio e vetro, obbligatorio per i produttori.

La campagna, lanciata lo scorso 4 marzo, conta già sui partner più autorevoli nel campo della tutela ambientale in senso lato: WWF, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, LAV, Zero Waste Europe/Italy e altri consultabili sul sito ufficiale. A partire dalle 14 organizzazioni che hanno sottoscritto l’appello in occasione del lancio, lo scopo è includere il maggior numero di associazioni, movimenti e istituzioni.

Per realizzare questo ambizioso obiettivo sono molte le forze, ma anche gli strumenti in campo: eventi pubblici, studi e materiali divulgativi, ma anche petizioni e sondaggi.

A tal proposito, c’è una petizione ad hoc in corso per frenare la dispersione degli imballaggi e contribuire nel piccolo alla causa della decarbonizzazione della plastica. L’unione delle forze mira a velocizzare l’approvazione di una legge nazionale sul sistema di deposito cauzionale, che ad oggi fattivamente ancora non esiste. Nel 2021, infatti, il nostro Governo ha inserito nel decreto legge “Semplificazioni bis” un emendamento che apre le porte a questo sistema nel nostro Paese. Ora serve la collaborazione di tutti gli attori per ottenere dei decreti attuativi.

L’opportunità del sistema di deposito cauzionale secondo i consumatori

La percezione collettiva dell’urgenza di questo avanzamento legislativo è risultata molto alta. La campagna “A buon rendere” infatti ha commissionato ad Astraricerche un sondaggio tra i consumatori. La ricerca dello scorso febbraio ha coinvolto 1005 intervistati tra i 18 e i 65 anni, residenti in Italia. I risultati integrali possono essere consultati qui.

Il dato emerso a livello macro è che l’83% dei cittadini sposa l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi monouso. Tuttavia, c’è molto da fare sulla consapevolezza, non a caso il 40,4% del campione ha dichiarato di non aver mai sentito parlare di questa soluzione. Sul cittadino infatti grava già un costo ulteriore per l’acquisto dell’imballaggio, ma è occulto. Il sistema di deposito cauzionale invece scorpora quel costo, che viene rimborsato restituendo la confezione usata.

Riguardo i problemi “logistici”, la proposta prevede che il consumatore restituisca l’imballaggio presso qualunque macchina apposita, negoziante o punto vendita della grande distribuzione. Dunque non necessariamente lo stesso luogo in cui è stato acquistato il package, o all’isola ecologica di zona o del proprio Comune.

In quest’ottica, risulta una soluzione “win win” per tutti. Da una parte, si premia economicamente il cittadino per la buona pratica compiuta e il produttore che manifesta una “responsabilità estesa”; dall’altra il Comune abbatte costi del sistema di raccolta differenziata e il pianeta riceve meno emissioni inquinanti.

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Roberta Nutricati

Roberta Nutricati

Laureata in Lettere Moderne a Siena e in Relazioni Internazionali a Torino. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna per un anno, ho conseguito un master in Europrogettazione e il riconoscimento alla Camera dei Deputati come Professionista Accreditata presso la Fondazione Italia-USA a Roma. Collaboro con il settimanale TheWise Magazine e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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