In un pianeta sempre più in sofferenza a livello climatico e di biodiversità, uno dei problemi più urgenti e che accomuna il mondo sono i rifiuti. In ogni Paese del mondo si riscontra quindi il problema di adottare e far funzionare una vera economia circolare dei rifiuti. Anche se i più inquinanti sono, almeno storicamente, i Paesi occidentali, la situazione sembra in evoluzione. Infatti i Paesi del Terzo Mondo stanno scoprendo ora il problema e anche la possibile risorsa dell’economia circolare dei rifiuti.

Il marketing dei rifiuti

L’economia circolare dei rifiuti, passo dopo passo, inizia a  svilupparsi e a generare delle vere e proprie opportunità di business per le aziende interessate. Si tratta però di un processo ancora in fase di sviluppo: se l’economia circolare è in uno stato che si può definire embrionale, il marketing green è ancora meno avanzato. La prima azienda ad interim nella gestione di questo settore è la MiM (Marketing Inerim Managers), capitanata dall’italiano Samuele Barrili.

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Un nuovo modello: l’economia circolare

Parlando di sostenibilità, il CEO di MiM ci tiene a specificare immediatamente che questo termine ormai è utilizzato troppo spesso in modo improprio. Infatti grazie alla sua esperienza nella promozione dello smaltimento dei rifiuti ci spiega che in realtà la sfida va vista in altro modo: L’azienda è davvero sostenibile quando il suo intero processo non produce mai scarti. Gli scarti è inevitabile che ci siano, ma verranno comunque immessi in un mercato che li utilizzerà. Questa è la vera sostenibilità che garantisce l’economia circolare.”

La consapevolezza del valore dei rifiuti

In molti Paesi del Terzo Mondo in cui Barrili si trova a operare, c’è una carenza diffusa di veri sistemi normativi sui rifiuti, specialmente nelle aree rurali o comunque distanti dalle maggiori città. Tante startup nascono sulla scia di emergenze molto concrete: perché vogliono pulire l’ambiente vicino a loro a causa della dispersione e dell’abbandono dei rifiuti per strada e nel retro dei palazzi.

Nella maggior parte dei casi, i rifiuti vengono bruciati. Quello che si sta provando è “portare consapevolezza del valore dei rifiuti” sostiene l’imprenditore. Infatti, la maggior parte dei rifiuti che si produce potrebbe essere riciclata più o meno facilmente, anche solo vendendone le componenti. In particolare sviluppo sono i materiali e le componenti dei prodotti tecnologici, come tablet, smartphone e computer, che vengono scomposti per estrarne i vari elementi che li costituiscono come rame, cobalto e oro.

Pionieri nell’economia circolare dei rifiuti

La mancanza di vere e proprie leggi rende difficile il monitoraggio della raccolta differenziata o anche dello smaltimento dei rifiuti in questi Paesi. Questo crea innumerevoli discariche a cielo aperto, che spesso diventano parte del corredo urbano, specialmente dei Paesi sub-sahariani e dell’estremo oriente. Ma qualcosa sta cambiando, grazie a numerose startup.

Un esempio interessante di cui parla Barrili si trova in Ghana. Un gruppo di ragazzi hanno dato vita a una startup che raccoglie bottiglie (in PET) di plastica per riciclarle. “Al momento ne raccolgono tra le 25 e le 28 tonnellate al mese, che non è molto dato che la plastica di PET si vende a 60 dollari a tonnellata” spiega il fondatore di MiM. Ma ci tiene ad aggiungere: “Questa attività non costituisce ancora un vero business, ma è l’inizio. Pensate che il Ghana è uno dei Paesi dell’Africa sub-sahariana che ha il maggior consumo di plastica PET.”

L'economia circolare dei rifiuti

Sito di raccolta plastica che potrebbe essere riciclata.

L’urban mining che permette circolarità

Anche in altri Paesi africani si stanno sviluppando esempi concreti di economia circolare dei rifiuti. Per esempio in Nigeria e Camerun, per citarne un paio, dei ragazzi hanno iniziato a raccogliere i vecchi smartphone, tablet e pc. “All’interno ci sono moltissimi materiali preziosi: palladio, rame, oro, litio, argento, cobalto…”, sostiene Samuele Barrili. “Il mercato dell’Africa sub-sahariana è dominata dalla Cina e la vita media di questi dispositivi è inferiore rispetto ad altri: questo fa sì che ci sia grande ricambio di dispositivi e quindi notevoli quantità di rifiuti elettronici”.

Questo settore, rappresenta peraltro un vero e proprio caso a sé che va sotto il nome di urban mining. “Un container da 40 piedi, pieno di vecchi apparecchi elettronici, vale 60-65mila dollari. Infatti in media da una tonnellata di vecchi dispositivi elettronici, si possono estrarre 300 grammi di oro. Per dirla in pillole, si tratta di dieci volte quello che si può trovare in una tonnellata di terreno” spiega l’imprenditore italiano.

Occorre ovviamente un sistema di separazione di materiali, ma con l’urban mining, il valore del rifiuto si moltiplica e diventa altissimo. “Purtroppo c’è ancora chi brucia questi dispositivi, per poi passare con il metal detector e recupera l’oro”, conclude Samuele Barrili. Ciononostante, una maggiore consapevolezza del valore dei rifiuti si sta facendo strada in direzione di una vera e propria economia circolare dei rifiuti anche nei Paesi africani.

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Riccardo Pallotta

Riccardo Pallotta

Laureato in comunicazione e marketing con una tesi sul brand journalism. Attore e speaker radiofonico in Italia e all'estero. Social media manager. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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