Quest’anno ricorre il trentacinquesimo anniversario dal Protocollo di Montreal, il trattato internazionale che bloccò la produzione e l’uso dei CFC, le sostanze che distruggono lo strato di ozono. Il processo di sensibilizzazione sul problema dei CFC può essere d’ispirazione anche contro il surriscaldamento globale. Lo sforzo di allora di scienziati, media e comunità internazionale può dimostrare oggi la necessità di qualcosa di simile: si può su scala più ampia difendere il pianeta dal cambiamento climatico.

Cosa è lo strato di ozono

Lo strato di ozono è una patina di gas presente nella parte alta dell’atmosfera terrestre, che la protegge dagli effetti nocivi dei raggi ultravioletti. In particolare l’ozono stratosferico limita gli UVC, che sono onde elettromagnetiche invisibili agli occhi, con proprietà germicide, altamente dannose anche per l’essere umano: gli UVC decompongono il DNA degli esseri viventi come di batteri e virus.

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Come interagisce il Freon con l’ozono

Durante i primi anni ’70 è stata evidenziata una riduzione dello strato di ozono atmosferico, il famoso buco dell’ozono, che la comunità scientifica ricondusse all’enorme utilizzo antropico di alcuni gas, allora di uso comune, inizialmente considerati sicuri perché inerti.

Clorofluorocarburi CFC e Idroclorofluorocarburi HCFC (Freon e Halon) hanno avuto una grande espansione perché utilizzati in varie applicazioni e soprattutto nelle più comuni bombolette spray. La loro leggerezza, però, li portava a contatto con l’alta atmosfera. Qui distruggevano il gas ozono soprattutto nelle aree mediane (le più popolose) tra le zone tropicali, in cui si genera naturalmente, e le latitudini circumpolari, dove invece si ridimensiona secondo cicli stagionali.

La scoperta del buco dell’ozono

Durante gli anni ’70 due ricercatori Frank Sherwood Rowland e Joe Farman e i loro staff  avevano scoperto ed evidenziato l’assottigliamento dello strato di ozono nelle regioni artiche. Farman e Rowland per l’intero decennio dovettero battagliare contro multinazionali e governi per convincerli della pericolosità dei CFC per l’ozono.

Nonostante le difficoltà, le vessazioni e le emarginazioni da loro subite, riuscirono a convincere gli USA, che iniziarono a muovere i primi passi per il divieto di utilizzo dei CFC sul loro territorio. Successivamente, anche su impegno statunitense, fu convocata il 22 marzo del 1985 la conferenza di Vienna, in cui finalmente 28 paesi scelsero di rendere questi gas illegali.

Da “Nature” al Protocollo di Montreal

Alcuni articoli usciti sulla rivista scientifica “Nature” il 16 maggio del 1985 denunciarono all’opinione pubblica i danni prodotti dall’utilizzo antropico massiccio dei CFC. La loro risonanza condusse la comunità internazionale verso l’approvazione del futuro Protocollo di Montreal. L’attenzione pubblica fu tale che le aziende produttrici, più che subire il ban dei gas da loro prodotti, ne promossero la sostituzione con altri gas meno dannosi.

Due anni dopo, nella famosa conferenza Montreal del 16 settembre 1987 fu redatto e firmato il protocollo apripista sulla tutela dell’ozono, giunto alla ratifica delle Nazioni Unite, insieme al documento di Vienna, come trattato nel 2009.  Il 16 settembre del 2009 è altrettanto importante proprio perché per la prima volta nella storia  dell’ONU dei trattati vengono ratificati universalmente.

Dalla tutela dell’ozono al surriscaldamento globale

Nonostante produca ancora degli allarmi, il buco dell’ozono oggi si sta pian piano riducendo ed è sempre più monitorato e compreso dalla comunità scientifica internazionale. Ricordare come si è giunti alla sua tutela è fondamentale per arginare i danni del cambiamento climatico: tra Covid e un conflitto russo-ucraino sempre più pericoloso e contagioso, questo richiede un dialogo ed un’azione internazionali sempre più difficili ma necessarie.

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Pasquale De Salve

Pasquale De Salve

Sono laureato in Filosofia e scrivo per passione. Qui scrivo di ambiente, politica, diritti e qualche volta anche di altro. Cerco di intendere il mondo per quello che è, ma di utilizzare quelle poche parole che ho a disposizione perché possa migliorare. Il suo cambiamento, però, dipende dallo sforzo di ognuno di noi!

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