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La diplomazia vaticana e l’arte di rafforzare rapporti di reciproca comprensione

La diplomazia vaticana e l'arte di rafforzare rapporti di reciproca comprensione

Bandiera Città del Vaticano

Nei giorni 17-19 luglio, il card. Matteo Zuppi, Inviato speciale del Papa per il conflitto russo-ucraino, si è recato in visita a Washington. Durante i tre giorni, il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha avuto modo di relazionare l’episcopato statunitense, il Governo degli Stati Uniti e il presidente Biden delle iniziative umanitarie portate avanti dalla Santa Sede.

L’azione diplomatica messa in campo dal Vaticano, in occasione della guerra scoppiata nel febbraio 2022, ha fatto tornare d’attualità la peculiare postura sulla scena internazionale della Chiesa cattolica. Una postura improntata su un uso diligente del “soft power” e che ha come obiettivi il cuore e la coscienza degli uomini, più di ogni altro aspetto.

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Una potenza di cielo che scommette sulla capacità dell’uomo di porsi in ascolto

“Quante divisioni ha il Papa?”, pare avesse beffardamente domandato Iosif Stalin, durante la conferenza di Jalta del febbraio 1945. Agli occhi del presidente sovietico, l’irrilevanza del minuscolo Stato vaticano, privo di eserciti e arsenali militari, rendeva pressoché inutile l’ascolto delle considerazioni del Pontefice, riguardo il futuro assetto europeo.

Stando a quanto riferito da un suo stretto collaboratore, il giorno in cui Stalin morì, Pio XII avrebbe affermato: Ora Stalin vedrà quante divisioni abbiamo lassù!”. Questo scambio di battute, al di là delle ironie e dei sarcasmi, riflette però una differenza reale, profonda, quasi siderale tra “potenze” ontologicamente differenti.

A tal punto che, quando si parla di Santa Sede, non si ha a che fare né con una potenza di terra né di mare, stando alla celebre bipartizione tracciata da Carl Schmitt nell’opera Terra e Mare, bensì con una potenza di “cielo”. Ecco la ragione per cui quest’ultima, in modo particolare, investe nel dialogo, scommettendo sulla capacità dell’uomo di porsi in ascolto (di Dio e dell’uomo).

Trent’anni di diplomazia vaticana all’insegna del dialogo

Se provassimo ad osservare da vicino le mosse che la Santa Sede ha intrapreso durante i conflitti, negli ultimi venticinque anni, noteremmo una tattica ben collaudata ed una strategia identica: portare le parti al dialogo facendo leva sulle sofferenze causate dalla guerra.

Nell’aprile 1999, ad esempio, Giovanni Paolo II inviò l’arcivescovo francese Jean Louis Tauran a Belgrado per una missione apparentemente impossibile: parlare con il presidente serbo Milosevic e convincerlo, rispettivamente, ad una tregua militare – almeno per il periodo pasquale –, alla cessazione della pulizia etnica e, infine, al rispetto dei diritti umani. Soltanto la prima proposta verrà accolta dal leader serbo, ma la mediazione non risulterà vana, poiché contribuirà ad aprire canali di dialogo.

Qualche anno dopo, nel marzo 2003, il papa polacco cercherà invece di agire in via preventiva, inviando alla Casa Bianca il card. Pio Laghi, con l’obiettivo di scongiurare l’invasione dell’Iraq. Contestualmente, il Pontefice inviò segretamente il card. Etchegaray a Baghdad per parlare con Saddam Hussein. Mentre quest’ultimo si disse disposto a trattare, tant’è che fece approvare una legge contro le armi di distruzione di massa in 48 ore, armi “che tra l’altro lui non possedeva” (Il Messaggero, 3 marzo 2021), ricorda l’allora nunzio apostolico in Iraq, il card. Filoni; non vi fu verso, invece, di convincere il presidente statunitense Bush, il quale affermò anzi che “era volontà di Dio” che l’azione militare avesse inizio, come rivelato dal vaticanista Gerald O’Connell sulle pagine de La Stampa.

Tra Cielo e terra, la diplomazia vaticana e la cultura del dialogo

Se volessimo individuare un documento chiave da cui trae impulso la diplomazia vaticana e la sua cultura del dialogo, ebbene questo è rappresentato dalla Lettera apostolica Sollicitudo omnium ecclesiarum emanata da Paolo VI nel 1969.

In essa si legge che l’istituzione dei rappresentanti pontifici presso le Chiese e gli Stati risponde a quella particolare sollecitudine che il vicario di Cristo deve avere nei confronti dei popoli di tutta la Terra. Egli deve confermare i fratelli nella fede e sostenerli nei momenti di difficoltà, rendendosi presente mediante suoi rappresentanti. La missione di quest’ultimi è, in particolare, quella di rappresentare il “tesoro di verità e di grazia” di cui Cristo ha reso partecipe, depositario e dispensatore l’ufficio proprio del successore di Pietro.

Il dialogo e gli sforzi di mediazione della Santa Sede si reggono su tale “combustibile metafisico”, espressione di una circolarità tra Cielo e terra che rende del tutto peculiare l’azione politica e diplomatica di questa potenza di Cielo, come l’abbiamo definita, costantemente messa alla prova da una dialettica tra piani differenti. Dialettica che stimola la ricerca di soluzioni e impone di porsi in ascolto delle sofferenze umane.

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