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Ristoranti dove non si paga il conto, ma solo ciò che si può

“Prendi ciò che vuoi, lascia ciò che puoi”

Al ristorante Panera Bread di Clayton, sobborgo di St. Louis (Missouri), un pasto completo costa meno di 7 dollari, ma la maggior parte dei clienti lascia 7 dollari o più. Ciò accade perché un anno fa la Panera Bread (grossa catena statunitense di panetterie-caffetterie) ha deciso di convertire uno dei suoi punti vendita tradizionali in un ristorante non-profit, dove il cliente non è obbligato a pagare il conto intero, ma paga ciò che può permettersi.

La catena Panera Bread conta migliaia di punti vendita tra U.S.A. e Canada, che non offrono solo prodotti da forno, ma anche panini imbottiti, insalate e zuppe. Come in tutti i ristoranti, anche a Clayton esiste un ampio menu con tanto di prezzi, ma al momento del conto, il cliente scopre che non c’è un registratore di cassa e che i prezzi sono “donazioni consigliate”. Il cliente viene invitato a lasciare il corrispettivo in un’apposita urna e viene informato che tutto il denaro raccolto in più avrà un duplice scopo: dare un pasto caldo a chi non può permettersi i prezzi interi e finanziare un programma di avviamento al lavoro per i giovani a rischio, chiamato “Panera Cares”. “Abbiamo individuato alcuni ragazzi che altrove non avrebbero mai potuto ottenere un lavoro” ha detto Ronald Shaich, presidente di Panera Bread,  “e abbiamo offerto loro un programma che unisce l’apprendistato ad una serie di opportunità didattiche. I primi tre ragazzi che hanno preso il diploma sono stati assunti nei ristoranti tradizionali della catena Panera”.

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In occasione del primo compleanno della formula “pay-what-you-can”, Shaich ha reso noto che la maggior parte dei clienti paga il prezzo indicato o di più. Il 60% della clientela paga il prezzo esatto; un 20% lascia di più e un 20% di meno. Una persona, addirittura, ha lasciato 500 dollari per un solo pasto, il pagamento più alto mai ricevuto in un anno. Sin dal giorno dell’inaugurazione, la comunità di Clayton si è dimostrata sempre più generosa nel supportare la nostra iniziativa”. L’esperimento è stato talmente positivo che, in un anno, la Panera Bread ha già aperto due ristoranti non-profit a Dearborn, sobborgo di Detroit (Michigan) e a Portland (Oregon) e sta valutando di aprirne altri tre entro la fine dell’anno.

Il progetto di per sé non è una novità assoluta. Negli U.S.A, infatti, fin dal 2003 ristoranti non-profit come il SAME Café di Denver (Colorado) e il One World Café di Salt Lake City (Utah) offrono pasti a tutti, ma la loro formula è molto più simile alle mense per i poveri: il menu è fisso o molto limitato (all’insegna del “no menu, no prices”) e viene applicato il “pay-what-you-want”, quindi anche zero dollari. Il Panera Bread di Clayton, invece, è il più grande esempio mai attuato finora di un concetto imprenditoriale chiamato “non-profit community café”, nel quale l’attività commerciale vera e propria opera, in parte, come ente benefico. La differenza tra i ristoranti non-profit di Panera e gli altri è che qui, prima di uscire, viene presentato il conto e si paga: anche poco, ma si paga.

Ronald Shaich

La Panera Bread ha sempre fatto beneficenza, ma Shaich ha cercato un coinvolgimento ancora maggiore: “L’abbiamo fatto per noi stessi, per vedere se, invece di staccare un semplice assegno, riuscivamo davvero a “fare la differenza in prima persona”, aiutando la comunità locale in modo concreto”. Nel comunicato stampa relativo al primo anniversario del progetto non-profit Shaich ha dichiarato: “Un anno fa non avevamo idea di come avrebbe risposto la gente. Non sapevamo se le persone si sarebbero aiutate a vicenda o se ne avrebbero solo approfittato. Dodici mesi dopo, possiamo affermare con orgoglio che la gente si è lasciata coinvolgere e ci ha aiutato a raggiungere il nostro obiettivo: dare un pasto a chi ne ha bisogno, che possa permetterselo o meno. Se le donazioni continueranno con questo ritmo, saremo in grado di coprire tutti i costi e mantenere i nostri ristoranti non-profit a lungo termine. Per dirla in parole semplici, questi “community cafés” hanno una profonda valenza sociale. Possono sopravvivere e auto-finanziarsi solo se le comunità che li ospitano fanno la loro parte”.

Pochissimi clienti si approfittano della formula “pay-what-you-can”: Shaich si ricorda ancora di tre ragazzini del college che avevano pagato 3 dollari per un pasto che ne valeva almeno 40. “Ma, in generale, l’esempio positivo inibisce questo tipo di comportamenti. Il nostro successo dovrebbe insegnare a tutti gli imprenditori ad avere fiducia nell’umanità. La lezione che abbiamo imparato è che la maggior parte della gente è fondamentalmente buona. Qui le persone, quando si alzano da tavola, fanno ciò che è giusto fare”.

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