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La fortuna di… non avere fortuna

Eccoci qui per il Lunedì con l’Amico Ottimista e oggi, forse, mi farò qualche nemico. Sì, perché sto per parlare di qualcosa di “scomodo”, che tira sempre in ballo polemiche infinite e che divide le persone in due grandi categorie. Le categorie dei “fortunati” e degli “sf…ortunati”. Voglio parlare di fortuna e di “psicologia della fortuna”, argomento veramente interessante del quale mi sono occupato proprio come dottore in psicologia, prima che come esperto di ottimismo.

Come vedi, per la foto ho scelto dei dadi, che rappresentano proprio la sorte, la casualità e, come si suol dire, le cose che avvengono per pura combinazione. Eppure un conto sono i dadi veri e propri, e l’utilizzo che possiamo farne in un contesto ludico (che sia di gioco o di scommessa non importa) e un conto è la metafora dei dadi, che applichiamo ad altri contesti della vita.

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Mentre se tiriamo i dadi in un gioco stiamo veramente usando la fortuna, perché non c’è modo di usare l’abilità per ottenere un certo risultato, troppo spesso pensiamo – erroneamente – che anche in tanti altri contesti si tratti di fortuna e non di bravura.

Paradossalmente, proprio quando giochiamo con i dati, con le estrazioni o comunque con tutti i meccanismi di selezione casuale di un certo risultato tipici delle lotterie e quant’altro, facciamo un errore fondamentale: dimentichiamo che ogni tiro di dadi è virtualmente il primo e l’ultimo!

Ciò significa che se è uscito per 20 volte un certo numero, al 21° tiro le probabilità che esca lo stesso numero sono le stesse identiche del 1° tiro. Si dice, infatti, che “i dadi non hanno memoria” e che, ogni volta, si comportano come fosse il loro primo ed unico lancio.

Al contrario, se dobbiamo impegnarci a prevedere l’esito di una sequenza di lanci, siamo quasi inevitabilmente propensi a pensare che, dopo tante ripetizioni dello stesso risultato sia impossibile che esca ancora, oppure il contrario, cioè che se dopo tante volte che non esce un numero sia più probabile che esca.

Questo, in un contesto di gioco o scommessa, altera le nostre decisioni e può spingerci a fare delle vere e proprie follie psicologiche (e non solo) come, ad esempio, pensare che se abbiamo adocchiato un numero ritardatario (cioè che non esce da tante estrazioni) sia intelligente puntare su quel numero, perché ci sono buone probabilità che esca! Nonostante la semplicità di questa regola elementare della statistica, questa cosa la capiscono in pochi o, meglio, sono in molti a non capirla e a giocarsi una fortuna in lotterie, scommesse e macchinette che ci attirano con il miraggio di una vincita.

Quindi, qual è la buona notizia? Che la fortuna non esiste! O, almeno, che è statisticamente molto improbabile e che non vale la pena puntarci neppure un euro. Qual’è la brutta notizia? Che purtroppo a volte qualcuno vince e questo non fa altro che alimentare la nostra falsa e dannosa speranza che, magari insistendo e giocando molto, possa toccare anche a noi.

Non c’è nulla di più pessimistico che puntare sulla fortuna al gioco. Le persone ottimiste e realiste sono consapevoli che la fortuna al gioco non esiste… e non la vogliono nemmeno! Al contrario le persone più “sfortunate” (qui uso la parola come sinonimo educato di “ignoranti”, ovvero le persone che ignorano) sono convinte di essere fortunati o, quantomeno, di poterlo diventare. Alla fine quelli che giocano a macchinette, lotterie, scommesse o quant’altro sono i più sfortunati… in tutti i sensi.

Quindi, un vero ottimista ha la fortuna di non avere fortuna e, di conseguenza, non la cerca giocando.

La prossima settimana continueremo questo discorso per capire meglio qual è la vera “fortuna” degli ottimisti e come si possa imparare ad averne di più. Nel frattempo, se vuoi approfondire l’argomento, puoi scaricare e leggere questo mio eBook sul tema!

Ti è piaciuto questo articolo? Ti ha incuriosito e fatto riflettere? Lascia un commento… Alla prossima settimana!

Sebastiano Todero

P.S.: Ricordati che un tizio abbastanza intelligente diceva che “Dio non gioca a dadi
P.P.S.: Il tizio era Albert Einstein.

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