E’ sempre esistito, ma questo non significa che sia impossibile da affrontare. Ieri non aveva un nome, ma oggi che gliene è stato dato uno è più facile parlarne, e soprattutto agire, per arginarlo. Il bullismo è una parola che svetta con quotidiana frequenza nelle cronache giornaliere per indicare un fenomeno che riguarda un adolescente su cinque e che si concentra soprattutto nelle scuole. Ma può esistere in tutti i quartieri, le città, e i contesti socio-culturali, perché quello che spaventa è l’essere diversi. E, a quello che non si comprende, si dà un nomignolo sgradevole nel “migliore” dei casi, e si arriva all’umiliazione fisica e morale nel peggiore.
Negli ultimi anni, proprio perché il fenomeno è uscito dall’anonimato sono state tante le iniziative a cui hanno dato vita istituzioni e associazioni. Si è compreso che non si è di fronte a ragazzi “cattivi”, ma a persone che per svariate ragioni sociali e caratteriali decidono di “interpretare” un ruolo: ci sono vittime che poi diventano bulli, bulli che si trasformano in vittime. Perché spesso aggressore e aggredito hanno caratteristiche comuni che poi prendono strade diverse. Il contesto familiare, forme di timidezze e di insicurezze che assumono tratti violenti o remissivi: tutto questo può contribuire a creare vittime e aggressori.
Riscopri anche tu il piacere di informarti!
Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.
SostieniciIn base ai dati della ricerca svolta nell’ambito del Progetto europeo ” Antibullying Campaign” su 16.227 giovani delle scuole superiori di 5 Paesi tra cui l’Italia, un ragazzo su due dice di aver assistito a episodi di bullismo, il 15% di esserne stato vittima, mentre il 16% ammette di essere un bullo. Secondo la ricerca, le prime avvisaglie di bullismo si possono riscontrare già dalle scuole elementari (e persino alle materne), dove si vedono le prime forme di prevaricazione. Ed è per questo che la prevenzione sembra essere la prima strada da percorrere. Tutto ciò è confermato da un nuovo studio dell’ospedale pediatrico di Boston pubblicato sulla rivista Pediatrics dove si sottolinea come “gli atti di bullismo lasciano segni visibili sulla vittima, anche dopo molti anni. Più a lungo si è stati nel mirino di prepotenti e delle loro angherie, più profondo e duraturo è l’impatto sulla propria salute generale, sia fisica sia mentale. Per questo intervenire al più presto può fare la differenza“.
Prevenzione che, oltre a ciò che possono fare gli adulti per aiutare i ragazzi, si traduce anche nel cosa possono fare i ragazzi per aiutare loro stessi. Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta e autrice del libro ” Conta su di me, relazioni per crescere”, ha infatti recentemente dichiarato a Repubblica che se è vero che scuola e famiglia possono fare molto, bisogna soprattutto fornire gli strumenti agli stessi ragazzi per contrastarlo. “Non bisogna essere violenti ma è bene imparare a difendersi… a volte è sufficiente un atteggiamento deciso o una frase detta al momento giusto per scoraggiare il bullo “.
“Un bambino deve imparare a difendersi da solo perché non ci saranno sempre mamma e papà a proteggerlo – ci racconta – E quando approda nel “mondo esterno” con i suoi quotidiani pericoli e situazioni da affrontare lui deve essere pronto, sapere che può cavarsela. Come si dice… meglio prevenire che curare“.
E proprio nei corsi tenuti dalla AKM Italia i bambini non mancano: dai 6 ai 15 anni “armati” di casco, guantoni, voglia di fare affrontano situazioni della vita quotidiana, imparando a difendersi non solo con i gesti, ma anche e soprattutto con l’atteggiamento. “Il krav maga affronta situazioni sulla vita reale, perchè è nato con uno scopo preciso: difendere se stessi” – sottolinea Omar.
Da chi ha fatto fatica a integrarsi nella scuola nuova, e per questo ha subito angherie, a quello più esile degli altri che è preso di mira, la casistica è varia. “Nei miei corsi noto prima di tutto l’interesse verso quello che facciamo e poi il cambiamento mentale. Raggiungono più sicurezza in loro stessi e portano questa sicurezza anche fuori“. Maschi e femmine che nel giro di qualche mese si sentono più forti, anche e soprattutto interiormente. “Ricordo sempre che il Krav nasce per difesa e non per attacco” e, infatti, imparare a reagire non implica affatto diventare violenti, ma al contrario essere più calmi e tranquilli nell’affrontare le situazioni quotidiane.
E questo vale sia per chi subisce, ma anche per il “bullo” di turno che può imparare molto frequentando questi ambienti dove il confronto con gli altri e la disciplina aiutano a far cambiare atteggiamento anche a chi si crede superiore e invincibile. Perché, come ha dichiarato la psicologa Silvia Vegetti Finzi al Corriere “il bullo è qualcuno che fa qualcosa di violento, non è un violento. Occorre lavorare sulle sue positività“.
(Foto Ileana Paolicelli)
Scopri anche…
Bikers contro gli abusi sui minori
Codice anti cyber-bullismo, via alle consultazioni pubbliche
Autista di bus aggredito da bulli, dà ai ragazzi una lezione di vita