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Colpo di Stato in Myanmar: le ombre su Aung San Suu Kyi e una nuova isola per i profughi

Colpo di Stato in Myanmar

Duro colpo di Stato in Myanmar. La sorte dei profughi rohingya pesa sulla popolarità di Aung San Suu Kyi ma all’orizzonte si profila una possibile soluzione

Una duplice reazione sta avvenendo in Oriente: il Myanmar vive un nuovo colpo di Stato, mentre il Bangladesh accoglie i profughi rohingya che fuggono da anni di ingiustizie da parte del governo birmano.

Il 1 febbraio 2021, il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate birmane, ha fatto arrestare la leader della Lega nazionale per la democrazia Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991. Le principali accuse rivolte alla leader riguardano i brogli alle elezioni. Su Aung San Suu Kyi pesano anche – a livello internazionale – le accuse di genocidio nei confronti dei profughi rohingya. Accuse che hanno in parte scalfito la popolarità della leader. È già stato deciso che l’ex generale Myint Swe – uno dei due vicepresidenti – ricoprirà la carica di presidente ad interim, mentre Aung San Suu Kyi attende una sentenza nel carcere della capitale Naypyidaw e chiede al popolo birmano di non accettare il colpo di Stato.

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Il colpo di Stato in Myanmar, le accuse e le nuove prospettive per i profughi

Le informazioni sul crollo del governo del Myanmar sono ancora precarie e si attende con il fiato sospeso quale sarà la reazione delle Nazioni Unite e della popolazione stessa, nei confronti di Aung San Suu Kyi. A fine gennaio le Nazioni Unite avevano sollecitato la Birmania ad “aderire a standard democratici”, temendo appunto il colpo di Stato. Il partito della leader, premio Nobel per la pace nel 1991, è stato molto criticato a livello internazionale per la gestione della crisi dell’etnia musulmana Rohingya.

Ad oggi, in Myanmar, in seguito ad una crisi latente ingigantita dalla pandemia e al tentativo del governo militare di emergere, la situazione avrà un lento esito. Mentre si attendono gli sviluppi su ciò che avverrà a Naypyidaw, il Bangladesh si sta attivando per dare nuove prospettive ai profughi di etnia rohingya, vittime di un vero e proprio genocidio. Per anni non sono giunte notizie sulle loro condizioni, discriminati perché minoranza musulmana, in un paese a maggioranza buddista. Il governo birmano, dalla sua indipendenza nel 1948, ha negato loro la cittadinanza, l’accesso all’istruzione secondaria e limitato la possibilità di spostamento.

Dacca, per anni, ha accolto gli esuli in campi profughi e da dicembre 2020 ha dato il via libera alle operazioni di integrazione nella città di Bhasan Char. Dopo anni di massacri e di odio etnico da parte dell’esercito birmano, potrebbe esserci una nuova speranza per i rohingya, indipendentemente dall’esito del colpo di stato in Myanmar. E la risposta è una città in via di costruzione.

La città è in realtà un’isola, nata sui sedimenti dell’Himalaya negli ultimi decenni del ‘900, che ha come intento quello di convogliare i profughi in un’area controllata, destinata unicamente a loro. Da circa quattro anni il governo di Dacca ha iniziato questo costoso piano di costruzione, per trasferire i rifugiati birmani. La scelta è stata imposta dalle pesanti tensioni che si sono create nei campi profughi, dove da anni si respira un forte malessere. Nel mese di dicembre 2020 sono iniziati i primi trasferimenti, che stanno continuando in queste settimane.

Il Myanmar e “l’isola che c’è” per i profughi rohingya

Le Nazioni Unite hanno accusato la leader di essere stata assente nella gestione degli affari interni, fra questi l’esodo dei rohingya. L’esercito, che sta guidando il golpe, durante la presidenza di Aung San Suu Kyi, ha gestito la questione rohingya creando un blocco sulla possibilità di intervento da parte degli altri membri del governo. I prossimi sviluppi potrebbero cambiare le relazioni con i profughi, le Nazioni Unite e l’organizzazione stessa del Myanmar.

Zaccaria A., imprenditore di Dacca, residente a Venezia, ha provato le difficoltà di “appaesamento” in un’altra realtà e non crede del tutto in questo cambiamento. Inoltre affronta la questione del colpo di stato birmano, auspicando un immediato ritorno alla normalità.

“Non credo che Aung San Suu Kyi abbia imbrogliato. Il suo partito è molto amato. Da anni l’esercito mira a salire al potere e hanno approfittato della debolezza causata dalla pandemia per accusarla. Per quanto riguarda i rohingya la loro oppressione avviene da moltissimi anni: Aung San Suu Kyi, non ha potuto decidere in modo libero, perché ha sempre governato affiancata dall’esercito. Il partito militare si occupa della difesa e dei confini, e la gestione dei profughi era fra le loro priorità. Questo ha causato massacri sui quali lei stessa non ha potuto avere voce.

 Sono convinto che per i profughi sarà difficile inserirsi in Bangladesh. L’isola è situata in una zona remota e vivranno lontano dalle loro tradizioni. La situazione era già molto complessa nei campi profughi, credo che la rabbia, la paura e le ingiustizie, renderanno le relazioni molto difficili. Questa città sembra perfetta, ma è finta.

Credo che in poco tempo inizieranno a sentire le difficoltà di essere raggruppati tutti insieme  in uno spazio che non è né uno Stato, né una patria per loro. Appena si adatteranno avanzeranno delle richieste e non sono sicuro che il Bangladesh potrà far fronte alla situazione. Come ci sentiremmo a vivere in un set cinematografico? Come potranno trovare un lavoro se non ci sono possibilità neppure per i miei connazionali? Il Bangladesh ha sempre aiutato coloro che scappano, ma l’inserimento in una realtà così povera sarà difficile, anche se in questo momento è più sicuro vivere lì.

Se la situazione in Myanmar dovesse cambiare, i profughi potrebbero nuovamente rientrare in patria. Ammiro Aung San Suu Kyi, ma la scelta di non intervenire sui massacri è da criticare. Spero che la leader venga rilasciata, perché un governo militare sarebbe un duro colpo per il Myanmar. Se questo succederà e Aung San Suu Kyi potrà tornare, potrebbe reagire offrendo nuove opportunità ai profughi e ammettendo le sue mancanze”.

Una città nuova per ritornare a vivere non da profughi, ma da uomini liberi

Mohammed N., nato a Padova da genitori di Chittagong, nel sud del Bangladesh, è invece convinto del grande potenziale di questo trasferimento e crede che la scelta migliore per i profughi sia quella di non tornare in Myanmar, soprattutto adesso, con il colpo di Stato in corso. Crede nelle governo di Aung San Suu Kyi e nella sua scarcerazione.

“Ho molta paura di un Myanmar nelle mani dell’esercito. I miei genitori sono nati in Bangladesh e sono sempre stati spaventati dal ricordo della cattiveria dei soldati birmani. Credo che la situazione potrà migliorare solo con l’intervento delle Nazioni Unite. Aung San Suu Kyi è molto amata e sono convinto che verrà rilasciata; io ho apprezzato il suo operato: ha modernizzato il Myanmar, nonostante il controllo militare, senza cedere. Questo atto è stato solo un ammonimento da parte dell’esercito, che ha sempre mirato a governare. 

I profughi rohingya sono discriminati dal 1948. Aung San Suu Kyi non è la diretta responsabile del loro esodo, ma negli ultimi anni del suo governo sono accadute cose terribili. Forse lei non ha potuto intervenire proprio perché bloccata dall’esercito, ma il fatto che ora se ne parli darà dignità alle storie di queste persone. Sono davvero felice che questa terribile discriminazione nei confronti dei rohingya sia finita. Uomini, donne e bambini sono stati brutalmente uccisi per anni. A volte, chi riusciva a scappare, veniva riportato in Myanmar con l’inganno, per poi essere torturato. Le madri hanno visto i figli morire davanti ai loro occhi, per la sola colpa di essere una minoranza religiosa. 

Non abbiamo idea della vita di queste persone e della loro sofferenza: meritano di trovare una nuova terra e di dimenticare. Per me Bhasan Char sarà un nuovo inizio positivo per i profughi, che saranno finalmente al sicuro. La comunità si adatterà a questa nuova vita, si troveranno dei lavori per tutti e nasceranno bambini liberi. Il Bangladesh ha dato esempio di poter essere un paese che crede nella libertà e nella vita dei profughi rohingya.

Adesso che il Myanmar è in uno stato di crisi, credo che sia ancora più idonea la scelta di far restare i rohyngia in Bangladesh. Spero che la situazione migliori: Aung San Suu Kyi è un bene per il paese, che è sempre stato instabile, ma i profughi devono vivere da un’altra parte. La situazione politica birmana sarà in crisi per un lungo periodo. Il ritorno in patria e la precarietà politica non farebbero altro che accrescere l’insicurezza dei profughi, accentuando  i loro traumi e dando loro false speranze”.

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