Studi scientifici, intrapresi negli USA negli anni ’80 dal Dottor James Pennebaker, hanno dimostrato che scrivere del dolore di un trauma è un valido strumento terapeutico di cura per la sofferenza psicologica. Il dolore per una perdita, se non esternalizzato o metabolizzato, rischia di esplodere o implodere.

La sofferenza, se non elaborata, si accumula generando paura di vivere. Scrivere “riattraversando” il proprio dolore in un dialogo interiore aiuta a gestirlo. Le emozioni negative fuoriescono e nella rielaborazione si dominano. Benedetta Lozzi nel libro autobiografico FasterJohn descrive in modo lucido, profondo e drammatico il dolore per la tragica perdita del fratello e della madre, ritrovati privi di vita nella propria casa a causa di un incendio.

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Da iniziale vittima soggiogata da esperienze dolorose che le hanno stravolto la vita, con la scrittura Benedetta riesce a raggiungere il distacco, guarda la propria sofferenza dall’esterno, la rivisita controllandola e, finalmente, superandola, torna a vivere.

Il fatto di cronaca: il tragico incidente in una torrida notte d’estate

L’11 luglio del 2022, di notte, nella villetta di Roma in zona Bravetta, dove vivono Giovanni, un ragazzo di 30 anni e la madre Anna affetta dal morbo di Parkinson, si sviluppa un incendio, provocato da un corto circuito. In breve le fiamme divampano. Giovanni si sveglia, non pensa a salvarsi in quanto “chiamato al dovere di figlio verso la mamma” corre a salvarla, cercando di sollevarla dal letto. Entrambi inalano le esalazioni del fumo dell’incendio pervase nella stanza.

Benedetta, sorella e figlia, sprofonda nel dolore mancandole “il coraggio di continuare a vivere”. Le lacrime sgorgano copiose fino a soffocarla. La vita, per lei, perde di senso facendola sentire “spenta dentro.” Scrive Benedetta: “la mia fede, sempre costante, ha iniziato a vacillare quella notte”.

E così, istintivamente, inizia a scrivere il libro autobiografico FasterJohn, il nome d’arte che il fratello si era dato nel suo lavoro di Gaming Manager. Lo scopo è comprendere, fare i conti con ciò che ha totalmente destabilizzato la sua vita. Affronta il dolore guardandolo in volto, lo fronteggia come un nemico che si è impossessato di lei e che riaffiora ogni giorno più forte. Inizia il suo viaggio interiore. Scrivere questo libro la salverà.

Scrivere per lenire il dolore di una perdita: il libro di Benedetta Lozzi. Foto copertina del libro: FasterJohn

Copertina di Sabrina Borron.

Perché scrivere lenisce il dolore

Ricercatori della psico-neuro-immunologia, disciplina che studia le interazioni tra i sistemi nervoso centrale, endocrino e immunitario, hanno riscontrato il legame tra la scrittura espressiva e il funzionamento del sistema immunitario. Scrivere per “buttare fuori il dolore” aiuta a rafforzare il sistema immunitario. Esternalizzare il lutto, ma anche la rabbia per la sorte avversa e gli “irragionevoli” sensi di colpa, serve ad elaborarli e quindi a gestirli. Non sono più le emozioni che dominano la persona, ma è il soggetto che gestendo le proprie emozioni invalidanti le controlla, sviluppando la resilienza.

Ed è così che Benedetta tenta di trovare una via di uscita: “… alla ricerca spasmodica di una risposta che placasse, almeno un po’, il dolore che mi stava straziando il petto.

Il trauma, se rimane “dentro”, nel tempo incide a livello mentale e fisico: “Sentii la sanità mentale abbandonarmi – scrive Benedetta, aggiungendo – dall’altro, la mia mente aveva la necessità di sopravvivere.

Con la scrittura si esteriorizza il proprio vissuto, si fermano i pensieri negativi che vagano confusi nella mente. Questi, se lasciati liberi si impossessano di corpo e psiche, imprigionandoli. Favorendo con la scrittura il distacco, il dolore e le forti emozioni si ridimensionano e si tengono a bada, in un luogo sicuro. E così, ci rivela Benedetta, “tutto quanto andato in pezzi” si rimette in ordine, rielaborando i ricordi in modo consapevole.

La mente a volte è il peggior nemico dell’uomo. Dio solo sa quanto vorrei poterla spegnere, annullare, premere un tasto e via. Smettere di soffrire.” Procedendo con la scrittura del libro l’ansia di Benedetta si placa e riacquista il proprio equilibrio. La narrazione, esposta in modo coerente, dà significato al caos dell’esperienza vissuta, restituendole un nuovo punto di vista su sé stessa.

Infatti, sottolineano gli studiosi, è soprattutto rileggendo sé stessi che la mente si confronta col dolore, si abitua all’emozione vissuta, la riconosce, la tiene a bada e, alla fine, la accetta.

“Per tornare alla vita

Similmente, per superare il dolore e riappropriarsi del “coraggio di vivere“, anche il figlio di Benedetta si rivolge alla scrittura come strumento terapeutico catartico. Filippo, adolescente di 15 anni, sublima la tragica perdita dello zio Giovanni con poesie che, considerata la giovane età, lo prefigurano poeta: “Sentirò per sempre la tua mancanza. / Come la luna, quando le manca il sole, chiede compagnia alle stelle, ma le stelle non sono il sole. / Le stelle non sono te.”

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Lucia Massi

Lucia Massi

Avvocata, assistente universitaria in U.S.A., interprete del tribunale di Roma e promotrice di cultura italiana presso la F.A.O. Le lauree conseguite in Italia e all’estero, incluso un Ph.D. presso la Columbia University di New York, attengono alle discipline giuridiche e letterarie. Laureata in giornalismo, collabora con BuoneNotizie.it.

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