L’azienda a conduzione familiare – così tipica e così radicata nella tradizione del Bel Paese – quando sa rinnovarsi tiene botta alla crisi e non si limita a resistere, ma lancia addirittura segnali di crescita incrementando l’occupazione: è quanto emerge da uno studio di Guido Corbetta, Fabio Quarato, Alessandro Minichilli presentato all’Università Bocconi di Milano.
La “fabbrichetta” tiene duro, i dati non lasciano dubbi: dall’analisi dei bilanci di 4249 aziende familiari medio-grandi risulta che dal 2007 al 2012 le aziende a conduzione familiare abbiano incrementato i posti di lavoro del 5,4% e che solo l’8,3% delle imprese abbia dovuto affrontare cessioni di controllo, fusioni e liquidazioni (contro il 10,4% delle filiali di multinazionali e il 14,6% delle imprese a controllo statale).
Il panorama che emerge dallo studio è decisamente vitale e – considerato in parallelo al prorompente emergere delle start-up, che spuntano ovunque come funghi – corregge e ridisegna il profilo di un Italia rivoluzionaria e tradizionalista al tempo stesso, capace di rispondere alla crisi in modo diversificato e spesso efficace.
Ovvio che per cavalcare l’onda serva anche una buona dose di autocritica e di capacità di rinnovamento: in questo senso, anche le imprese familiari sono chiamate a mettersi in gioco: “Abbiamo individuato otto sfide che le aziende familiari si trovano ad affrontare per rilanciare la propria competitività – dichiara Guido Corbetta – : evitare la convivenza obbligata tra generazioni, nella forma di amministratori delegati multipli; pianificare la successione al vertice prima che sia troppo tardi; superare il soffitto di vetro che limita la crescita professionale delle donne; bilanciare leadership familiare e Cda familiare; radicarsi in una cultura non familistica; aumentare le competenze per fare acquisizioni; cambiare il focus geografico degli investimenti diretti all’estero; conoscere il private equity”.
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