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Bullismo e cyberbullismo. La prevenzione passa dalla prosocialità

Bullismo e cyberbullismo, prevenirli con la prosocialità. Bambini prendono in giro un compagno. Foto: Pexels

Bullismo e cyberbullismo, prevenirli con la prosocialità. Bambini prendono in giro un compagno. Foto: Pexels

Bullismo e cyberbullismo sono fenomeni largamente diffusi nelle scuole italiane. Come spiega la psicologa Antonella Godi in un suo articolo sul portale unobravo, il termine bullismo indica “dei comportamenti aggressivi e ripetuti nei confronti di una vittima e perpetrati dal bullo, ovvero una persona che compie atti di violenza fisica o psicologica con aggressività e sistematicità“. Il cyberbullismo è la trasposizione del bullismo sulla rete: la violenza, cioè, avviene tramite mezzi telematici.

Giovanni Maria Vecchio, professore di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione all’Università di Roma 3, in un’intervista al portale “Studenti” indica nella prevenzione la misura più efficace per contrastare bullismo e cyberbullismo. Nella pratica, ciò si traduce nell’educare gli studenti alla prosocialità, cioè allo sviluppo di comportamenti volontari volti a recare beneficio agli altri senza la ricerca immediata di una ricompensa.

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Bullismo e cyberbullismo, dati e forme della violenza

Secondo i dati relativi all’anno scolastico 2021/22 della Piattaforma Elisa, un progetto promosso dalla Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Ministero dell’Istruzione e l’Università di Firenze, il 25,3% degli studenti e delle studentesse è stato vittima di bullismo, mentre il 7,9% ha dichiarato di aver subito aggressioni per via telematica. Da una ricerca ISTAT inoltre, emerge come bullismo e cyberbullismo siano diffusi soprattutto nella scuola primaria.

Le azioni aggressive del bullo a discapito della vittima possono declinarsi in diversi modi: percosse, sottrazione e danneggiamento di oggetti di proprietà, diffusione di storie offensive sui social o l’estromissione della vittima dal gruppo dei pari.

Nel mondo cyber, invece, la violenza si esplica tramite messaggi offensivi inoltrati usando chat, social network, o mediante la diffusione di fotografie e video veri o finti, inerenti comportamenti o situazioni imbarazzanti che coinvolgono la vittima allo scopo di lederne la reputazione.

Sebbene bullo e vittima presentino caratteristiche opposte, Ada Fonzi, professoressa di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Firenze, nella sua opera “Bullismo. La storia continua” (Giunti, 2006) sostiene l’esistenza di un aspetto comune a entrambi, ovvero un rapporto critico con la dimensione emotiva.

Bullo e vittima: profili opposti ma non del tutto

Il bullo si configura come un soggetto aggressivo, ostile e oppositivo, con bassa tolleranza della frustrazione, difficoltà a rispettare le regole e incapacità di stabilire relazioni sociali positive. La vittima, invece, è solitamente più ansiosa e insicura degli studenti in generale. Soffre sovente di scarsa autostima, è eccessivamente passiva e incapace di fronteggiare una situazione di attacco mediante comportamenti reattivi. Tuttavia, in alcuni casi può essere un soggetto iperattivo, il cui comportamento genera irritazione e conseguente aggressione da parte del bullo. Tra gli effetti della violenza subita, possono insorgere nel tempo un atteggiamento di rifiuto verso l’attività scolastica, ansia, angoscia e depressione, arrivando nei casi più gravi anche al suicidio.

La professoressa Fonzi, però, pensa che bullo e vittima siano accomunati da una mancanza di empatia, benché articolata diversamente; mentre la vittima non riesce a riconoscere le proprie emozioni come disgusto, paura, rabbia e tristezza, trasmettendo agli altri insicurezza e incapacità di difendersi, mentre il bullo presenta disimpegno morale e incapacità di cogliere i sentimenti altrui.

In forza di questi risultati, il professor Giovanni Maria Vecchio sottolinea l’importanza di prevenire bullismo e cyberbullismo tramite la promozione di comportamenti prosociali e lo sviluppo dell’empatia, cioè della risposta affettiva derivante dalla condivisione e comprensione dello stato emotivo dell’altro.

Una risorsa contro bullismo e cyberbullismo: i laboratori di prosocialità 

Il professor Vecchio è responsabile scientifico del progetto di ricerca CEPIDEAS Junior, la versione sviluppata per i bambini della scuola primaria del progetto CEPIDEA – Competenze Emotive e Prosociali per l’Intervento sui Disturbi Esternalizzanti degli Adolescenti. Il cuore del progetto consiste nell’integrare i curricula scolastici con programmi che mirino a promuovere comportamenti prosociali, come la gestione delle emozioni, la comunicazione, l’empatia e il senso civico nei bambini e negli adolescenti.

Il programma prevede l’organizzazione di lezioni di prosocialità e di laboratori a cui partecipa tutta la classe in virtù del fatto che, secondo Vecchio, il bullismo non riguarda solo l’aggressore e la vittima: “Il bullismo non è un fenomeno individuale – spiega – dipende anche dal clima della classe, della scuola, dei valori di cui il ragazzino è portatore“. Il bullismo, infatti, può trovare terreno fertile laddove i compagni restino indifferenti dinnanzi ai soprusi del bullo, o in presenza di docenti poco attenti.

Il programma Cepideas Junior e i suoi risultati

Il programma Cepideas Junior è stato messo in pratica in alcune scuole primarie di Roma. Tra le attività avviate durante le lezioni anche scrivere una lettera a un amico che si trova nei guai, con l’obiettivo di stimolare le abilità comunicative prosociali, che favoriscano l’assunzione della prospettiva altrui, oppure chiedere agli alunni di identificare un’emozione e descrivere le situazioni che la scatenano.

Spesso, inoltre, vengono ricreate in aula situazioni quotidiane in cui bisogna prendere una decisione: il mio compagno, per esempio, mi chiede aiuto per fare uno scherzo a un altro alunno, ma io so che questo potrebbe mettere quest’ultimo a disagio: cosa fare? Da qui, è possibile aprire un dibattito in cui viene identificata una soluzione condivisa e le strategie adatte per resistere alle pressioni dei pari, come suggerire un comportamento alternativo, trovare un motivo per convincere che si tratti di un’idea stupida o saper dire di “no”.

Il progetto ha restituito risultati incoraggianti: “Alla fine del laboratorio notiamo tre cose: una riduzione drastica dei comportamenti aggressivi, per cui conflittualità normali si smorzano. […] La capacità della classe di mantenere delle relazioni positive. Infine, i ragazzi vanno anche meglio a scuola“, conclude Vecchio. Una forma di contrasto alla violenza che non passa dunque attraverso la punizione del bullo, bensì mediante una dinamica positiva, relazionale e inclusiva.

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