Una ricerca condotta da alcuni scienziati italiani, ha rivelato alcune interessanti possibilità di applicazione dello studio della musica nelle terapie contro la dislessia.
Il cervello dei musicisti, infatti, è una cosa a sé rispetto al cervello dei “comuni mortali”: è quanto si evince da uno studio recentemente condotto da un’agguerrita equipe di scienziati dell’Università Milano Bicocca e dell’Istituto Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Cnr di Milano.
Gli scienziati milanesi, si sono basati su un campione di 30 soggetti: 15 musicisti professionisti e 15 persone con stesso livello culturale e età simile, ma prive di conoscenze musicali specifiche. I soggetti sono stati sottoposti a una tomografia elettromagnetica a bassa risoluzione che ha consentito l’analisi del segnale bioelettrico prodotto durante la fase di rielaborazione cerebrale della lettura parallela di note e testi.
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Dall’analisi dei due gruppi, è emersa una differenza sostanziale: in pratica, a differenza degli altri soggetti, sia nella lettura di testi che nella lettura di note, i musicisti attivano regioni appartenenti a entrambi gli emisferi cerebrali, mentre i non musicisti coinvolgono esclusivamente zone specifiche dell’emisfero sinistro (corteccia occipito-temporale di sinistra e giro occipitale inferiore di sinistra).
Certo, sarebbe esagerato parlare di “supercervello”, ma è un dato di fatto che la familiarità con una pratica di lettura complessa e a più livelli come quella di partiture costituite da diverse linee melodiche, possa costituire una risorsa importante e realmente inedita per quanto riguarda il trattamento della dislessia.
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Per i bambini dislessici l’attivazione di entrambi gli emisferi potrebbe, infatti, supplire al deficit costituzionale della regione cerebrale abitualmente coinvolta nell’analisi visiva delle parole.
Studiare musica per curare la dislessia? E’ possibile e tutt’altro che fantascientifico. “Lo studio della musica – sostengono i ricercatori – potrebbe aiutare a sviluppare un circuito cerebrale comune a parole e note, contribuendo così a compensare i deficit di lettura.”
Fonte: Ansa
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Al Sig. Piero Blumetti piace molto la parola ” costringere”
Molto interessante. Nella scuola dove insegno stiamo lavorando proprio a introdurre un laboratorio su questo aspetto della musica. Domanda da profana… ma questa applicazione della musica è stata studiata specificatamente solo sulla dislessia o in genere su diversi aspetti dei disturbi di apprendimento?
Bell’articolo, ma concordo con chi dice… si spera sempre che alla fine vada tutto per il meglio!
Mio figlio potrebbe essere l’evidenza di questa teoria. Ama la musica da quando è nato, vive per la musica, studia e suona musica , ma ha un disturbo specifico di apprendimento . A differenza dei suoi coetanei anch’essi con dsa, lui è riuscito a superare tante difficoltà in ambito scolastico, tanto da risultare anche più bravo dei ragazzi normodotati. La sua forza è venuta dalla musica che gli da una carica di autostima e sicuramente attraverso la musica ha sperimentato lo stare con gli altri, il rapportarsi con gente di livello differente e a rispettare i ruoli, sicuramente per suonare in orchestra e nei gruppi, mette in pratica strategie che applica anche nello studio ! W la MUSICA ! W i RAGAZZI che nonostante le mille difficoltà ,con tenacia CE LA FANNO ! Grazie !
È interessante l’articolo sulla Dislessia e la musica in funzione a l’ argomento sulla stimolazione dei lobi che compongono il nostro cervello ma è altrettanto assurdo leggere in questo articolo che cura il deficit della dislessia.. chiedo: da quando la dislessia è un deficit e una malattia e quindi va curata??? Grazie a chi mi sa dare una risposta!