L’immagine corporea è una delle componenti dell’identità personale e rappresenta il modo in cui pensiamo, sentiamo, percepiamo e ci comportiamo nei confronti del nostro corpo. Il disturbo dell’immagine corporea (BID) o dispercezione corporea consiste in una percezione errata delle dimensioni e forme del proprio corpo, fatto che provoca in chi ne è soggetto una grande sofferenza psicofisica; questo disturbo si osserva molto frequentemente in pazienti con anoressia nervosa e bulimia o disturbi alimentari (DCA) che ad oggi colpiscono circa tre milioni di italiani.

Il trattamento di questa patologia rappresenta un aspetto importante nella cura dei DCA. La dottoressa Laura Dalla Ragione è una psichiatra e psicoterapeuta, fondatrice della Rete per i Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 dell’Umbria e presidente della SIRIDAP, la Società Scientifica per la riabilitazione nei disturbi del comportamento alimentare. Intervistata dal portale Animenta, Dalla Ragione indica nella terapia dello specchio uno strumento efficace per contrastare il disturbo dell’immagine corporea.

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Sintomo da disturbo alimentare: percepire il proprio corpo come inaccettabile

La dispercezione corporea è uno dei primi sintomi a comparire e l’ultimo a scomparire nel trattamento dei disturbi alimentari e costituisce uno dei nuclei psicopatologici più dolorosi e resistenti alle terapie.

Dalla Ragione spiega come “guardandosi allo specchio, la persona che presenta questa difficoltà non riesce a vedere un’immagine veritiera di sé. Piuttosto vede una forma corporea inaccettabile che occorre necessariamente modificare e che produce molta sofferenza. La dispercezione scatena infatti una fortissima ostilità verso il proprio corpo, un senso di vergogna, quasi un vedersi deformi“. Le persone soggette a questo disturbo tendono generalmente a percepire il proprio corpo in sovrappeso, nonostante l’evidente stato di dimagrimento.

Dispercezione corporea, quando il cervello diventa “cieco”

Il problema con la propria immagine è generalmente legato alla comparsa di un DCA e ne costituisce un criterio di diagnosi. La dispercezione è un’alterazione neurofisiologica oggi documentata dalle tecniche di brain imaging.

Riguardo alla causa che ne determina l’insorgenza, Dalla Ragione spiega come “alcune aree cerebrali relative alla percezione visiva non siano più funzionanti e attivabili durante il periodo conclamato della patologia alimentare. E’ come se per un certo periodo il cervello diventasse “cieco” per quanto riguarda la percezione della propria immagine corporea […] Ricerche scientifiche hanno mostrato come la malnutrizione prolungata possa aggravare questa alterazione. Ciò significa che, paradossalmente, più il peso scende e più la dispercezione aumenta e la persona ha una immagine di sé sempre più alterata“.

Secondo la terapeuta, anche la cultura è un altro fattore importante nel determinare il manifestarsi del fenomeno. L’ambiente socioculturale attuale, infatti, anche attraverso i canali d’informazione, diffonde canoni estetici di magrezza estrema presentandoli come “irrinunciabili”, quali sinonimo di valore personale: “I modelli del nostro tempo creano sicuramente un terreno fertile per l’insorgenza di questo sintomo – spiega – E’ infatti largamente diffusa un’insoddisfazione corporea che accompagna principalmente la fascia degli adolescenti, ma anche altre fasce d’età, dall’infanzia all’età adulta“. Tra le misure più efficaci atte a contrastare la dispercezione, Dalla Ragione sottolinea la validità della terapia dello specchio.

Terapia dello specchio: accettarsi senza giudicarsi

Il disturbo dell’immagine è sempre connesso a un disturbo alimentare; pertanto, evidenzia la psichiatra, “è consigliabile trattare questo tipo di problema con un supporto terapeutico integrato. E’ fondamentale la presenza di professionisti esperti del settore quali psicologo, nutrizionista e psichiatra, pronti a lavorare in sinergia“.

Nondimeno, Dalla Ragione afferma anche come oggi si lavori molto anche a livello più specifico, agendo direttamente sull’immagine del corpo. Qui entra in gioco la terapia dello specchio che consiste in un’esposizione sistematica del paziente allo specchio. Tale pratica si svolge in circa sette sedute e viene guidata da uno psicologo. Questa tecnica prende spunto dall’ipotesi che la preoccupazione per le forme e il peso corporeo si collochi a un livello mentale non sempre accessibile e modificabile dalle tecniche di ristrutturazione verbale.

Terapia dello specchio: saper guardare il proprio corpo aiuta contro i disturbi alimentari

Per i pazienti affetti da disturbi alimentari esporsi davanti a uno specchio costituisce motivo di grande sofferenza; la maggiore difficoltà sta nel tollerare i livelli di ansia e di giudizio negativo nei confronti del proprio corpo. Al contempo, come in una sorta di pulsione incontrollabile, i pazienti cercano, specchiandosi continuamente, una conferma dell’immagine riflessa che risulta sempre negativa e dolorosa.

La terapia cerca di modificare setting mentali disfunzionali riguardanti il peso e le forme corporee, istruendo i pazienti, una volta davanti allo specchio, a descrivere il proprio corpo senza giudicarlo, ma imparando ad ascoltarlo e a viverlo con intensità emotiva. Se nel primo incontro il soggetto è completamente vestito, progressivamente gli verrà richiesto di mostrare parti sempre più estese del suo corpo, fino all’ultima seduta dove rimane solo con gli indumenti intimi.

Una ricerca clinica effettuata dalla psicologa e psicoterapeuta Valentina Di Giovanni pubblicata su Psicoclinica, il Giornale della Società Italiana di Psicologia Clinica Medica, mostra la validità della terapia dello specchio. I pazienti sottoposti a questo tipo di intervento hanno infatti mostrato miglioramenti significativi nella percezione della propria immagine corporea: l’ansia, il senso di disagio e l’ostilità verso il proprio corpo sono diminuiti, mentre l’accettazione della propria figura è risultata più reale e convinta.

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Carlotta Mantovani

Carlotta Mantovani

Mi sono laureata in filosofia per cercare di comprendere il fondamento dei fenomeni. Questo interesse si è poi veicolato verso la dimensione morale, portandomi a cercare di analizzare le questioni inerenti la società e le nuove tecnologie. Vorrei fornire un’informazione capace di abbracciare questi temi prospettando anche soluzioni alla complessità della realtà. Da qui la scelta del giornalismo costruttivo. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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