Un paesaggio invernale e una Brianza irredimibile: queste, le coordinate di “Il capitale umano”, un film che segna un indubbio salto di qualità nella produzione cinematografica di Paolo Virzì. “Il capitale umano” è un film che ha fatto e farà discutere per vari aspetti ma che risulta interessante anche se considerato da un punto di vista ambientale. Si tratta infatti di una produzione innovativa, basata sull’adesione a “Edison Green Movie”, il primo protocollo europeo di sostenibilità ambientale per il cinema, presentato l’anno scorso al Festival di Cannes e firmato dalla giovane casa di produzione “Tempesta” in collaborazione con la Cineteca di Bologna e con l’assistenza tecnica e il supporto economico di Edison spa. Obiettivo principale: ridurre sensibilmente l’impatto ambientale di un set cinematografico razionalizzando le risorse, senza che questo implichi ulteriori spese per la produzione.

“Il set di un film è una carovana, un piccola città mobile, che mima e ripete quasi tutto quello che avviene in una vera città. Sul set si mangia, si cuce, si produce energia, si dipinge, si costruisce e si distrugge, si bagna e si asciuga.” recita l’incipit della dichiarazione di intenti di “Edison Green Movie”: in parole povere, secondo il protocollo, il set di un film è come una città vera e propria, in cui si mangia, si produce… e si inquina; ecco perché “Edison Green Movie” ha acceso i riflettori sul problema della “sostenibilità” della produzione cinematografica, invitando ad adottare alcuni accorgimenti grazie ai quali è possibile ridurre al minimo l’impatto ambientale di un film. E’ciò che ha fatto la Società di Produzione “Indiana” sul set del film di Paolo Virzì, ottenendo – come risultato finale – una riduzione del 75% delle emissioni di CO2 e una generale razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse. Diversi gli espedienti usati durante la produzione de “Il capitale umano”: allaccio temporaneo alla rete elettrica (che ha consentito di ridurre il rilascio delle emissioni per un totale di 32 tonnellate e ha fatto risparmiare ai produttori circa 37000 euro) , uso di stoviglie riciclabili, di una cucina da campo e di prodotti gastronomici a chilometro zero, rifornimento di acqua tramite “boccioni” da 18 litri che hanno consentito di ridurre al minimo l’uso di bottigliette di plastica (nel corso della produzione sono stati utilizzati 170 boccioni anziché 6120 bottigliette).

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E se si considera il risultato in una prospettiva generale, il quadro si fa davvero green; si calcola infatti che la diffusione a tappeto del protocollo, potrebbe ridurre le emissioni di CO2 di oltre 1120 tonnellate: il prodotto annuo, in pratica, dell’illuminazione pubblica di un comune di 10.000 abitanti.

 

 

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