Sistema potabilizzante ideato dall'Università di Stellenbosch

L’IRIN, agenzia stampa delle Nazioni Unite, ha diffuso in questi giorni la notizia che il Water Insitute dell’Università sudafricana di Stellenbosch ha messo a punto e brevettato un sistema semplice, economico ed efficace di potabilizzazione dell’acqua, che potrebbe ridurre in modo significativo i decessi per malattie legate all’uso di acqua non potabile, come il colera e la diarrea.  Ad essere colpiti sono soprattutto i bambini africani al di sotto dei 5 anni, il 20% dei quali muore di colera o diarrea.   

Dopo anni di ricerche multidisciplinari, che vanno dalla microbiologia alla decontaminazione dell’acqua, dalla nanotecnologia allo studio dei polimeri, un pool di ricercatori sudafricani ha inventato un dispositivo di potabilizzazione che potrebbe salvare milioni di vite in tutto il mondo e che è molto simile – per forma e dimensioni – ad una comune bustina da tè. Si tratta di un sistema filtrante costituito da una bustina biodegradabile (realizzata in nano-fibre) contenente carboni attivi in granuli e da un sacchetto foderato al suo interno da una pellicola di biocidi in grado di eliminare agenti patogeni e microbi presenti nell’acqua. L’innovativo sistema filtrante può essere sistemato sul collo di qualsiasi bottiglia ed è in grado di potabilizzare immediatamente un litro di acqua – anche molto sporca. Infatti, l’acqua che viene bevuta direttamente dalla bottiglia che reca il filtro viene subito potabilizzata ed è già pronta per il consumo. 

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Secondo l’IRIN (www.irinnews.org/Report.aspx?ReportId=90215), la bustina filtrante è molto più di una speranza per tutti gli abitanti del pianeta e per i circa 680 milioni di africani che non hanno accesso all’acqua potabile. Il costo delle materie prime di ogni singolo dispositivo si aggira sui 5 millesimi di dollaro, ai quali vanno aggiunti i costi di manodopera e distribuzione, ma il prezzo finale dovrebbe essere comunque molto contenuto. La comunità scientifica internazionale guarda al progetto sudafricano con grande attenzione, tanto che durante le recenti inondazioni in Pakistan, diverse agenzie umanitarie hanno fatto espressa richiesta di questo dispositivo, ma non è stato possibile accontentarle, perché il progetto non è ancora giunto alla fase produttiva vera e propria. 

Il dispositivo filtrante presenta qualche limite, ma i vantaggi superano di gran lunga gli svantaggi. Un lato negativo sta nel fatto che la bustina non è in grado di potabilizzare acqua che presenti livelli elevati di ferro, alluminio e acido (come l’acqua minerale acida) o acqua contenente petrolio, né di desalinizzare l’acqua marina. Un altro limite è che, dopo aver filtrato un litro di acqua, la bustina va gettata, creando così il problema dello smaltimento di rifiuti contenenti biocidi – cosa che preoccupa la comunità scientifica.  

Tra i vantaggi si segnalano senz’altro il basso costo, la facilità con cui può raggiungere qualsiasi zona del pianeta e l’estrema semplicità d’uso. Soprattutto in caso di emergenze o calamità naturali queste caratteristiche non sono da sottovalutare. La distribuzione di acqua potabile alle popolazioni colpite da terremoti o catastrofi diventa una necessità vitale, perché una persona può sopravvivere per giorni senza cibo, ma non senza acqua potabile. In situazioni di crisi si presentano anche grossi problemi logistici, dal momento che un litro di acqua potabile pesa un chilogrammo ed occupa uno spazio pari ad un decimetro cubo. Ma all’emergenza si aggiunge, ogni volta, il problema dello smaltimento dei contenitori e dei rifiuti dei vari sistemi di potabilizzazione e di decontaminazione dell’acqua. Dopo il devastante terremoto di Haiti, che ha cancellato le carenti infrastrutture idriche, le organizzazioni umanitarie sono intervenute con numerosi container di acqua potabile e sistemi di decontaminazione, che adesso devono essere smaltiti.  

L’utilizzo, invece, della bustina filtrante ridurrebbe notevolmente l’impronta ecologica causata dalla necessità impellente di avere acqua potabile. Il nuovo dispositivo filtrante si rivelerebbe quindi provvidenziale: sarebbe molto più economico, ridurrebbe la quantità di rifiuti prodotta e permetterebbe di potabilizzare l’acqua direttamente in loco. Inoltre, trattandosi di una tecnologia di facile e veloce utilizzo ed applicabile ovunque, sarebbe un’ottima soluzione anche per le popolazioni nomadi o per quelle che vivono in aree isolate e difficilmente raggiungibili in caso di emergenza. E per tutti coloro abitano vicino a corsi d’acqua contaminati oppure in zone dove le infrastrutture idriche non sono in grado di assicurare acqua potabile in modo continuativo. 

Il ricercatore Eugene Cloete

Il Water Institute dell’Università di Stellenbosch e il progetto della bustina filtrante – progetto coordinato da Eugene Cloete (nella foto) – fanno parte del più ampio HOPE Project, un insieme di piani di sviluppo finalizzati a migliorare le condizioni di vita del Sud Africa e di tutto il continente. Attualmente, il dispositivo potabilizzante è in fase di test presso il South African Bureau of Standards, ma il progetto è quasi completato, tanto che la produzione e la relativa commercializzazione della bustina potrebbero partire già entro la fine dell’anno.   

Per approfondire:   

The HOPE Project 
 

Professor Eugene Cloete
www.innovus.co.za/pages/posts/meet-our-researcher-professor-eugene-cloete-water-research-132.php

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Laura Pavesi

Laura Pavesi

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