Sarebbe sufficiente seguire alla lettera la normativa europea in materia di rifiuti per ridurre gli sprechi e incrementare in modo decisivo la ricchezza degli Stati, creando al tempo stesso nuovi posti di lavoro. Un recente studio condotto dalla Commissione Europea parla chiaro: se gli stati membri dell’Unione seguissero le direttive comunitarie, i risultati influirebbero positivamente sull’economia, oltre che sulla qualità di vita dei cittadini europei.

Detto in parole povere: il risparmio complessivo ammonterebbe a 72 miliardi di euro, e andrebbe ad aumentare di circa 42 miliardi di euro il fatturato del settore che si occupa dei rifiuti e del loro smaltimento. Inoltre, l’osservazione scrupolosa della legislazione europea consentirebbe anche di creare 400mila nuovi posti di lavoro entro il 2020: un vantaggio non da poco in un periodo in cui la disoccupazione costituisce un problema di primaria importanza.

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Tuttavia, la questione va considerata anche in altri termini, cioè con una certa lungimiranza: non concentrandosi cioè, tanto sui vantaggi più immediati, quanto sulla situazione mondiale a lungo termine. Le principali problematiche sono due: l’accumulo di rifiuti e il progressivo esaurirsi delle risorse. Per quanto riguarda il primo problema, i dati sono schiaccianti: ragionando a livello europeo, le 16 tonnellate di materiali di vario tipo utilizzate da ogni persona, generano circa 6 tonnellate di rifiuti di cui, allo stato attuale, ne vengono riciclate solo 3.

Anche per quanto concerne la seconda problematica, la situazione è tutt’altro che rosea: l’attuale incremento demografico lascia presupporre che, da qui al 2050, la domanda di alimenti e fibre aumenterà del 70% in un contesto globale nel quale oltre il 60% degli ecosistemi esistenti risulta troppo sfruttato per rispondere alle aspettative. Non si tratta di fantascienza, ma del nostro prossimo futuro. Alla luce di questi fattori, è facile capire come seguire le direttive europee sia d’interesse comune, ben al di là dei vantaggi più immediati.

In questo senso, l’Unione Europea e gli stati membri, stanno lavorando (o meglio, cooperando) per cambiare lo scenario futuro: lo ha dimostrato l’ultima edizione della “Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti”, che ha avuto un tasso di partecipazione e di coinvolgimento decisamente elevato. Di non minore importanza sono i risultati conseguiti dagli stati europei in tema di riciclo e raccolta differenziata, e questo non solo per quanto riguarda stati come la Germania, che già otto anni fa (nel 2004) si attestava al 56% in fatto di riciclo, ma anche per quanto concerne l’Italia.

Parlando di raccolta differenziata, infatti, il nostro Paese – negli ultimi anni – ha fatto passi da gigante. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sono tanto i capoluoghi di provincia a fare da sprone: al sud, nel 2011, Salerno ha superato di gran lunga molte città dell’Italia settentrionale, aggiudicandosi l’Oscar Verde di Legambiente; al nord, Ponte delle Alpi – piccolo comune della provincia di Belluno – si è qualificato il comune più riciclone d’Italia, raggiungendo una percentuale di differenziata dell’86,4%.

 

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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