Svezia, Estonia, Paesi Bassi e Bielorussia: i Paesi che non hanno scelto il lockdown.

Come sappiamo, nei momenti principali di inizio della pandemia i vari Paesi europei hanno adottato diversi tipi di strategie. Alcuni hanno scelto il lockdown, come ha fatto l’Italia. Ci sono stati, però, altri Paesi che hanno deciso di puntare su un’altra misura di contenimento del coronavirus: il distanziamento sociale (più correttamente distanziamento fisico) e l’immunità di gregge. In poche parole, hanno scelto il non lockdown. Ecco quali.

Il distanziamento sociale in Svezia

La Svezia è stata uno dei pochi Paesi europei che ha puntato sul distanziamento fisico e sull’immunità di gregge per frenare il contagio. Lasciando circolare il virus sarebbe stato possibile rendere immune gran parte della popolazione svedese, interrompendone la diffusione. Nonostante questo, il governo sin da subito aveva messo in conto il cambio di passo nel caso in cui la situazione epidemiologica fosse peggiorata. Oltre a ciò, si è deciso di chiudere alcuni locali e di vietare le visite nelle case di cura. Questa decisione è stata basata sul legame di fiducia che lega i cittadini al governo, e viceversa.

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L’importanza della tecnologia estone

Altro Paese che non ha messo in atto il lockdown è l’Estonia dove, nonostante la diffusione del coronavirus, il piccolo Paese non ha avuto un picco dei contagi. Ciò lo si deve all’alto livello di digitalizzazione del Paese. In poche parole, è stato da tempo realizzato un ID digitale valido per svolgere qualsiasi attività. È stato proprio questo ad aver impedito la formazione di assembramenti nei luoghi pubblici. In tal modo, ha puntato sul distanziamento sociale fin dall’inizio.

La strategia dei Paesi Bassi

Neanche i Paesi Bassi hanno messo in atto il lockdown. A partire dal 23 marzo, però, anche questo Paese ha messo in atto una strategia di chiusura – anche se non propriamente di lockdown –  decidendo di chiudere ristoranti e scuole e impedendo la realizzazione di eventi di grande portata. I supermercati, i negozi di abbigliamento e di giocattoli, tra gli altri, sono rimasti aperti.

La Bielorussia e la “bufala” del coronavirus

Infine, la Bielorussia, nonostante un andamento crescente nel numero di contagi, ha optato per l’immunità di gregge. Per dovere di cronaca e per onestà intellettuale c’è da sottolineare il fatto che in questo Paese il coronavirus si ritiene inesistente. Un modo di pensare che continua ad esserci. Questo accade nonostante il Presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko (il primo a sostenere ciò) sia stato colpito proprio dal coronavirus e nonostante il livello dei contagi che, a fine giugno, si attestava a 62.118 contagiati (Fonte: statistichecoronavirus.it).

Fin dall’inizio della pandemia questo Paese ha negato la gravità della situazione, tanto da sottostimare il vero numero dei contagiati e dei morti provocati dal virus. Infatti, appare strano che a fronte di questo numero di contagiati i guariti siano 46.054 mentre i morti “solo” 392, dal momento che non è stata intrapresa alcuna misura per contrastare il contagio nè è stata trovata una cura per il virus. Tanto da mettere in dubbio l’autenticità stessa dei dati che vanno a formare il grafico sottostante:

Grafico andamento dei contagi in Bielorussia. Analizzando il grafico si coglie che mentre il numero dei contagi aumenta in amaniera esponenziale, il numero dei guariti aumenta anch'esso esponenzialmente mentre la linea indicante il tasso dei deceduti è quasi coincidente con lasse delle ordinate

Grafico andamento dei contagi in Bielorussia. Analizzando il grafico si coglie che mentre il numero dei contagi aumenta in maniera esponenziale, il numero dei guariti aumenta anch’esso esponenzialmente mentre la linea indicante il tasso dei deceduti è quasi coincidente con l’asse delle ascisse.

 

Avranno agito bene questi Paesi applicando il non-lockdown? La risposta ce la forniscono i dati in questo articolo dedicato al confronto tra le strategie contro il coronavirus: meglio lockdown o immunità di gregge?

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Dario Portaccio

Dario Portaccio

Laureato in Informazione, Editoria e Giornalismo, oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al percorso di formazione biennale dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, con cui sono diventato giornalista pubblicista.

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