Sempre più comuni interessati dal turismo in Italia vorrebbero introdurre la tassa di soggiorno. La ragione è semplice: quest’anno gli incassi complessivi derivanti da tale introito sono stati i più alti mai registrati. In più, grazie a questi, è stato possibile compensare le perdite dovute al minore afflusso di turisti – soprattutto rispetto al 2019, anno precedente la pandemia. A tale risultato ha contribuito, in primo luogo, l’aumento del numero dei comuni che hanno introdotto la tassa. Inoltre, ha avuto un certo peso la crescita complessiva delle somme richieste ai turisti, correlata all’aumento del costo della vita.

Una denominazione impropria, ma ormai diffusa

In termini tecnici, quando si parla di tassa di soggiorno si indica in realtà un’imposta. Tuttavia la prima espressione – benché impropria – rimane la più diffusa, anche a livello di comunicazioni istituzionali. È bene infatti ricordare che una tassa viene pagata da qualcuno in cambio d’un determinato servizio. Le imposte, invece, sono un prelievo che lo Stato effettua nei confronti di ogni contribuente.

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Il concetto di “imposta”, dunque, vale a maggior ragione per la cosiddetta tassa di soggiorno, in quanto essa riguarda tutti i turisti che decidono di visitare una certa città. Naturalmente – secondo quanto la legge stabilisce – il  suo importo varia in base alle diverse categorie delle strutture ricettive: un albergo a due stelle ai suoi ospiti chiederà una cifra inferiore rispetto a un hotel di lusso.

Tassa di soggiorno: crescono gli importi

L’imposta, nella sua versione attuale, fu introdotta nel 2011, tramite la legge sul federalismo fiscale. Quest’ultima, infatti, lasciava ai singoli comuni una certa autonomia riguardo alle regole da applicare. In quell’anno, a volere la tassa di soggiorno erano solo undici comuni; oggi sono 1.013. A livello nazionale la legge stabilisce solo alcune norme generali: in primis, che il denaro ricavato si debba investire unicamente in progetti relativi al turismo in Italia.

I comuni – secondo tale normativa generale – possono chiedere, al massimo, 5 euro al giorno agli ospiti delle strutture ricettive di lusso. Tuttavia, nella  legge di bilancio dello scorso anno, è stata approvata una norma che ha alzato la soglia massima da 5 a 10 euro al giorno – anche se solo per alcune città. Per l’esattezza, quei centri urbani in cui il numero dei visitatori fosse venti volte superiore rispetto alla popolazione media.

Allo stato attuale, sono cinque le città italiane che possono trarre vantaggio da questa norma: Rimini, Venezia, Verbania, Firenze e Pisa. Firenze si è già mossa in tale direzione e ha alzato il tetto a 8 euro. La città che però sta beneficiando di più delle entrate della tassa di soggiorno è Roma. La Capitale infatti – approfittando d’una legge approvata ad hoc – quest’estate ha adottato degli aumenti fino a 10 euro al giorno per gli hotel a cinque stelle.

Bisogna anche dire che la tassa di soggiorno non è una realtà che riguarda solo il turismo in Italia. Un’imposta di questo tipo è già in vigore in diversi Paesi del mondo – anche se spesso, da viaggiatori, non lo si nota. Difatti, in alcuni casi la si include nel costo dei biglietti aerei o in quello degli alberghi. Inoltre, vi sono località che devono affrontare il cosiddetto fenomeno dell’overtourism (turismo eccessivo), e che proprio per contenerlo caldeggiano l’adozione di questa misura.

La tassa di soggiorno come aiuto contro la crisi

Il turismo in Italia rappresenta una porzione importante dell’economia, nella quale è impiegato il 7,3% dei lavoratori. Per questo, il Servizio studi del Parlamento ha presentato alle Camere, quest’anno, il Piano strategico di sviluppo del turismo per il periodo 2023-2027 (successivamente approvato). È innegabile, infatti, che in diverse regioni si è registrato un calo nell’afflusso di turisti – soprattutto se si paragona il presente ai risultati del 2019, prima della pandemia da Covid.

Si può dunque affermare che le entrate della tassa di soggiorno hanno contribuito a compensare tale situazione. Non solo: in molti casi – soprattutto nei comuni piccoli – sono state essenziali per chiudere il bilancio in pareggio. Difatti, la direttiva nazionale secondo cui bisogna usare gli introiti per progetti turistici si applica, spesso, in maniera flessibile – e il denaro serve anche alla manutenzione delle infrastrutture.

Il grande turismo in Italia arriva da oltreoceano

Se è vero che i rilevamenti degli esperti del settore hanno mostrato una flessione specialmente nel turismo interno (cioè quello degli italiani che si spostano nella Penisola), a bilanciare tutto ciò c’è stato un grande “ritorno”: quello dei turisti statunitensi nel Belpaese. A favorire tale fenomeno c’è stato senz’altro il desiderio di tornare a far viaggi intercontinentali – dopo i limiti imposti nel periodo pandemico – unito al fatto di disporre d’una moneta piuttosto forte (il dollaro), che rende conveniente il cambio con l’euro.

È un segnale importante, soprattutto per un settore che in Italia dà lavoro a più di 970.000 individui. L’obiettivo, ora, è quello d’impegnarsi per riportarlo ai livelli pre-pandemia – quando a lavorare nel turismo in Italia c’erano, all’incirca, 1,2 milioni di persone. Perché l’Italia – più che una potenza “d’armi” – è una potenza culturale; e non può smettere di onorare tale vocazione.

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Edoardo Monti

Edoardo Monti

Ho lavorato per anni come freelance nell'editoria, collaborando con case editrici come Armando Editore e Astrolabio-Ubaldini. Nel 2017 ho iniziato a scrivere recensioni per Leggere:tutti, mensile del Libro e della Lettura, e dal 2020 sono tra i soci dell'omonima cooperativa divenuta proprietaria della rivista.

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