Votare, normalmente, è considerato un dovere, in quanto atto che rappresenta l’esercizio massimo della democrazia. Ci sono però situazioni in cui scegliere di non votare può servire a comunicare – in modo pacifico – il proprio dissenso nei confronti delle azioni d’un governo. È ciò che è accaduto in Iran durante le elezioni parlamentari del 1° marzo, nelle quali si è registrata la più bassa affluenza di votanti dal 1979 – anno della Rivoluzione Khomeinista: solo il 41% della popolazione, infatti, ha espresso il suo voto. In tal modo, molti iraniani hanno riaffermato il desiderio di avere, un giorno, un sistema politico riformato, che riduca le limitazioni della libertà. A una settimana dalle elezioni, facciamo luce su quanto accaduto e sul segnale inviato dalla popolazione alla Teocrazia.

Una nazione con un assetto istituzionale complesso

Fin dalla Rivoluzione del 1979 – che portò al potere i religiosi guidati da Rohullah Khomeini – l’Iran presenta un peculiare assetto istituzionale. Al suo interno coesistono, in un certo senso, aspetti assimilabili a una dittatura e altri più vicini alla democrazia. Questi elementi lo rendono un Paese non facile da inquadrare secondo le categorie politiche occidentali.

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Il sistema è dominato da organi formati da religiosi e con a capo la Guida suprema (che oggi è Ali Khamenei), ma prevede anche delle figure elettive, come il presidente della Repubblica e i membri del parlamento. Tali figure non sempre hanno lo stesso orientamento, ma fino a oggi – a parte qualche parentesi moderata – hanno prevalso le posizioni più conservatrici. In questo senso, le elezioni parlamentari del 1° marzo non hanno fatto eccezione, avendo premiato in modo netto i candidati tradizionalisti.

I giovani dell’Iran si fanno sentire attraverso il “non voto”

Le votazioni svoltesi in Iran il 1° marzo, però, saranno ricordate per un dato significativo: ovvero, il più alto tasso di astensionismo registrato dalla nascita della Repubblica Islamica. Del resto, già alle elezioni parlamentari del 2020, l’affluenza era stata solo del 42%. È un segnale inequivocabile che le nuove generazioni stanno inviando a un regime che non vuole rinnovarsi – alla luce del controllo che gli organi religiosi esercitano sull’intero processo elettorale.

A rendere questi dati ancor più rilevanti è il fatto che si è trattato delle prime elezioni tenutesi in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane arrestata nel 2022 per non aver indossato correttamente il velo islamico. Tale evento diede vita a una vasta ondata di proteste popolari – propagatasi anche sul web – che diffuse nel Paese lo sloganDonna, vita, libertà”.

Benché possa sembrare un paradosso, dunque, le giovani generazioni hanno scelto il “non voto” proprio per manifestare il loro bisogno di democrazia. Occorre infatti sottolineare che, in queste elezioni, la maggior parte dei candidati riformisti è stata respinta dal Consiglio dei guardiani – l’organismo preposto al vaglio dei partecipanti.

C’è un Iran che guarda al futuro al di là dell’immobilismo

Per comprendere il peso del boicottaggio elettorale nel Paese della Guida suprema Ali Khamenei e del presidente Ebrahim Raisi (eletto nel 2021) bisogna considerare un fatto: l’affluenza alle urne riveste una grande importanza per i vertici politici dell’Iran. Essi infatti la considerano il mezzo principale per legittimare il proprio potere agli occhi degli altri Paesi e, perciò, sono solleciti nell’invitare i cittadini al voto.

Il messaggio che la diserzione dai seggi ci fa arrivare è che c’è un Iran – quello del popolo, dei giovani e delle donne – che sa guardare più in là rispetto agli organi del potere, poiché è il cuore pulsante di una terra e del suo avvenire. Inoltre, essa ci trasmette l’idea della varietà e della complessità di una nazione, oltre ogni forma di stereotipo.

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Edoardo Monti

Edoardo Monti

Ho lavorato per anni come freelance nell'editoria, collaborando con case editrici come Armando Editore e Astrolabio-Ubaldini. Nel 2017 ho iniziato a scrivere recensioni per Leggere:tutti, mensile del Libro e della Lettura, e dal 2020 sono tra i soci dell'omonima cooperativa divenuta proprietaria della rivista.

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