Nel cuore di Bologna, in via Belvedere 11/B, esiste una realtà unica nel suo genere in Italia: un bar aperto e gestito da due ragazzi non udenti, Sara Longhi e Alfonso Marrazzo (nella foto, al centro e a sinistra). Il locale si chiama “Senza Nome” e nasce come spazio di incontro e confronto per sordi e udenti. Un luogo in cui le ordinazioni si fanno scrivendo un post-it oppure utilizzando la Lingua dei Segni (LIS).

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Sulle pareti del locale sono appesi numerosi cartelli con l’alfabeto dei segni. Al momento di ordinare, ognuno è libero di scegliere se presentare ai gestori un foglietto scritto oppure provare a comunicare in modo nuovo: muovendo le mani. E tutti i “coraggiosi” che scelgono di cimentarsi nella LIS – la Lingua dei Segni – sono premiati con uno sconto al bancone. Inoltre, qui vengono organizzati corsi di sensibilizzazione alla LIS, mostre, eventi musicali e performance di artisti non udenti.

Il Senza Nome di Sara e Alfonso non è solo un bar: è un invito ad avvicinarsi senza pregiudizi alla realtà dei non udenti e a scoprire, anche attraverso il gioco, una forma di comunicazione sconosciuta ai più.

“L’idea è nata quando abbiamo cominciato a desiderare di avere un spazio in cui potessero venire ed esibirsi artisti sia sordi che udenti”, ha detto Sara. L’obbiettivo, “poter gestire e ospitare laboratori teatrali, performance, corsi, workshop e concerti in cui lavorassero fianco a fianco”.

 “All’inizio”, ha raccontato Alfonso, “ero spaventato dal confrontarmi con gli udenti, perché anche per me è difficile, ora invece è assolutamente una cosa naturale”. Sara, al contrario, ha frequentato la scuola con persone udenti ed è abituata al confronto: “Ho sempre fatto tanti sacrifici per capire gli altri, adesso invece sono loro che si sforzano di capire me ed è una cosa importante. La soddisfazione più grande è quando vedo persone udenti che si impegnano per adattarsi ai noi sordi”.

Le difficoltà non sono mancate: il Senza Nome, infatti, si trova in una zona del centro di Bologna che spesso è teatro di episodi di microcriminalità, ma Sara e Alfonso possono contare sul sostegno del quartiere.“Con un presidio fatto di cultura siamo riusciti a trovare un compromesso che riqualificasse la zona e adesso siamo noi del quartiere ad essere grati al Senza Nome dell’intervento che hanno fatto”, ha dichiarato Elena Leti, presidente del quartiere Porto.“Ciò che inizialmente ci ha fatto allarmare era l’impossibilità, per i due titolari, di chiamare la polizia in caso di bisogno. Ma ora con le forze dell’ordine, che durante quest’anno hanno vigilato nella via, stiamo pensando di creare un servizio ad hoc, riservando un numero dove poter inviare un SMS o addirittura dotare il locale di un apparecchio collegato direttamente con la polizia”.

“Siamo rimasti nonostante tutte le difficoltà incontrate in questo anno”, ha concluso Alfonso. “Per fortuna la situazione va migliorando. E noi siamo ancora qui. Il confronto che si è creato e l’aria che si respira all’interno del locale è davvero bella. Alcuni imparano a parlare con noi, altri ancora quando sono di spalle al bancone mi chiamano, ma io ovviamente non li sento e non mi giro. E finiamo per ridere insieme”.

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