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Oggi siamo nelle Marche per raccontare la storia di Enrico Loccioni, un imprenditore che, nonostante la crisi, sta assumendo in controtendenza con la maggior parte delle aziende italiane. Enrico Loccioni ad Angeli, frazione di Rosora (Ancona) dà lavoro a circa 150 persone quasi tutte anconetane (60 delle quali ricercatori) che hanno un’età media di 32 anni. L’imprenditore è alla costante ricerca di personale, non ha mai usufruito di cassa integrazione o mobilità: crea lavoro e ricchezza e lancia progetti per riqualificare e valorizzare il territorio marchigiano.

Il Gruppo Loccioni  – noto in tutto il mondo nei settori dell’impiantistica elettrica, automazione industriale, monitoraggio e controllo qualità per elettrodomestici e componenti auto, telecomunicazioni, ICT e monitoraggio ambientale – incoraggia i propri collaboratori ad avere iniziativa personale, inventiva, apertura mentale, fantasia e creatività. “Il segreto del nostro successo”, spiega Loccioni, “sta in un modello di impresa che guarda ovviamente al profitto, ma vi antepone l’aspetto dei valori, delle persone. Ognuno qui fa quello che ama fare, viene spinto a seguire i propri interessi e talenti per trovare la giusta collocazione. Non esiste il lavoro ripetitivo. Oggi è il sapere, la conoscenza che dobbiamo valorizzare. Negli ultimi 50 anni le famiglie si sono potute permettere di investire in istruzione: il nostro compito è quello di creare un’impresa basata sulla conoscenza”.

Non è un caso, quindi, che il Gruppo Loccioni sia l’unica impresa italiana sul podio dei “Best Workplaces 2014” (per la settima volta in 10 anni). Ma non è tutto: per Enrico Loccioni il turnover aziendale, il fatto che i lavoratori decidano di lasciare l’azienda per mettersi in proprio, è un punto di forza.“Molte persone negli anni”, spiega Loccioni,hanno scelto di abbandonare il gruppo per mettersi in proprio, da una a tre persone all’anno. Tutto questo è estremamente positivo: è un segno che il gruppo fa crescere le persone attraverso il lavoro e le aiuta ad assumersi una responsabilità. In altre parole, insegna loro la base dell’attività imprenditoriale. Non vogliamo negare a nessuno l’opportunità di crescere e acquisire conoscere e competenze, lasciando ognuno libero di trasferirle e valorizzarle anche in altre realtà, cosa che io vivo con serenità perché fare impresa significa anche diffondere e “seminare” per il futuro”.

I modelli imprenditoriali a cui si ispira Enrico Loccioni sin dalla fondazione dell’azienda nel 1968, sono “Aristide Merloni che, ritornando da Torino, decise di mettere su un’industria qua, dove c’erano soltanto pecore e neppure una strada per arrivarci. E la capacità di un uomo pubblico come Enrico Mattei”. Ma, soprattutto, Adriano Olivetti: “Io ho fatto il viaggio di nozze nel ’73 e sono stato ad Ivrea proprio per capire dove stava l’Olivetti. L’Olivetti è un esempio di come considerare il lavoro ed i lavoratori, di come disegnare i prodotti, di fare cose belle, con un alto senso estetico. Ma è anche un esempio di come disegnare il territorio”.

“I nostri lavoratori”, continua, “sono quasi tutti marchigiani, c’è un’estrema attenzione a che le persone non vivano lontano da qua più di mezz’ora di macchina: è giusto valorizzare i talenti di questo territorio. Fra vivere questo territorio e alloggiarlo abbiamo scelto la prima opzione. Il territorio è una risorsa. La parte pubblica deve vedere nell’impresa un soggetto che sul territorio ci vive, lo alimenta, non un soggetto mordi e fuggi. Ci siamo dedicati all’ambiente e alla sostenibilità, a partire dal posto di lavoro, per renderlo più confortevole. E abbiamo creato 6 appartamenti passivi senza bollette da pagare, dove vivono i nostri ragazzi. Poi abbiamo lavorato sul fiume Esino, che scorre qua vicino: per l’incuria era diventato una minaccia, noi l’abbiamo trasformato in risorsa, ne traiamo energia con la vite di Archimede”.

“Il segreto del successo”, conclude Loccioni, “sta nel combinare voglia di acquisire conoscenze e passione. La regola è essere sempre curiosi e volersi mantenere costantemente aggiornati: non c’è né una fine né un inizio, ma un continuo. Il bello dell’innovazione è che se c’è un progetto, questo aggrega altre persone. Il progetto è aggregante, coinvolge tutti in ugual misura, purché tutti condividano una stessa visione. L’importante è che ci sia sempre, nella condivisione del medesimo obiettivo, l’entusiasmo e la voglia di divertirsi, qualità che possono essere proprie di qualsiasi età”.

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