Guardate questa classifica. Al primo posto del particolarissimo ranking si trova la Danimarca, terra del principe Amleto. Bene, chi scommetterebbe che quella che vedete qui sotto è la classifica, in una scala tra 1 e 10, di felicità pubblicata nel 2012 all’interno del World Happiness Report dell’ONU?  Non si tratta di un bollettino parrocchiale, ma di un’importante ricerca scientifica coordinata da studiosi del calibro di Richard Layard e Jeffrey Sachs, tra i maggiori riferimenti all’interno dell’economia della felicità.

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Economia e felicità? Ai più l’accostamento potrà apparire ardito, quando non offensivo in tempo di crisi. Eppure, si tratta di un approccio assolutamente scientifico che si basa su un assunto ormai unanimemente accettato in letteratura: i soldi non costituiscono l’unico elemento di benessere delle persone.

Gli albori di questa branca dell’economia vanno cercati nel 1974, anno in cui Richard Easterlin, economista americano, pubblicò su una rivista internazionale (la prestigiosa American Economic Review) un articolo in cui mostrava un risultato che, negli anni, è diventato celebre come “paradosso”: la felicità delle persone tende a crescere, insieme al reddito, per livelli bassi dello stesso ma, al raggiungimento di una soglia critica, l’auto-percezione delle persone non si traduce in un aumento di felicità, ma tende piuttosto a stabilizzarsi.

Il perché possa verificarsi un simile risultato è oggetto di un dibattito ancora oggi acceso e ha dato adito a molteplici interpretazioni: innanzitutto, le persone vivono di confronti. Io non sono felice, cioè, per un certo livello di reddito che percepisco. O meglio, non soltanto. Lo sono facendo il confronto tra ciò che guadagno oggi rispetto a ciò che guadagnavo, poniamo, l’anno scorso. E rispetto a quello che guadagna chi mi sta vicino. Inoltre, le persone si adattano. Immaginate di essere un giovane precario, che per risparmiare acquista i cereali di una sottomarca. Con l’assunzione e l’aumento salariale, è probabile che il giovane in questione si consentirà un upgrade ai cereali di marca. Eppure, la sua felicità per i cereali di maggiore qualità non sarà eterna, ma tenderà a stabilizzarsi nel tempo. Ancora, molto spesso più reddito significa più ore lavorate, e più ore lavorate significa meno tempo da dedicare alla qualità delle proprie relazioni sociali: con il partner, con gli amici, con la propria comunità di riferimento.

L’economia della felicità si occupa di tutto questo e, per essere più precisi, di mettere a fuoco con una lente di ingrandimento il concetto di benessere, allo scopo di allargarne la definizione, in contesti dove i problemi di sopravvivenza (cibo, abitazione, bisogni elementari) sono stati superati dalla stragrande maggioranza della popolazione.

È importante, sì, il reddito: anzi, è una necessaria componente dello ‘star bene’. Ma non è la sola e non basta. Che cos’è il PIL? Il Prodotto Interno Lordo, di fatto, come dettaglia questa presentazione, è la somma di tutti gli stipendi di una società:

 

E’ un indicatore importantissimo ed estremamente sintetico, perché in un solo numero cattura molte dimensioni del benessere: una buona salute, un buon livello di istruzione… Ma c’è un “però”, e il modo migliore per comprenderlo è affidarci a un celebre discorso di Bob Kennedy, pronunciato nel 1968 mentre concorreva alle primarie per la presidenza USA:

 

Insomma, il PIL misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta.

D’altro canto, anche parlare di felicità non è facile. E nemmeno lo deve essere. Fondamentalmente, gli scienziati che si occupano di felicità adottano un approccio multidisciplinare, con l’apporto delle più innovative tecniche della psicologia e delle neuroscienze per capire le determinanti del benessere psico-fisico, per fornire una metrica oggettiva a quello che, fortunatamente, rimane un concetto soggettivo (lo stato edonico di una persona), per disegnare politiche più efficaci nel ridurre i costi della povertà e le disuguaglianze che attanagliano la società di oggi.

Fare questo non è semplice e Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, parla in questo intervento a TED Talks di felicità, sottolineando la delicatezza della parola e la necessità di accompagnarla ad un inevitabile contro-altare: la riduzione delle sofferenze.

 

Il World Happiness Report dell’ONU è una pubblicazione scientifica che riporta al centro del dibattito un’aspirazione comune alla filosofia greca (Aristotele e la felicità pubblica) come al buddhismo, inserita dai Padri Costituenti Americani all’interno della Costituzione come diritto fondamentale di ogni cittadino. La scienza, in questo senso, offre un servizio importante e assai rilevante, sopratutto in tempi di crisi: contribuire a una più corretta e multidimensionale definizione di benessere. Che tenga conto non solo delle risorse a disposizione, ma del loro corretto utilizzo, delle emozioni che popolano le nostre vite, dell’idea di futuro che andiamo costruendo. In tempi di recessione e crisi globale, chi si assume la responsabilità di essere felici?

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Luciano Canova

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