L’ondata di caldo che sta attraversando la Penisola pone diversi interrogativi alle istituzioni, in particolare su come tutelare i lavoratori dal “rischio calore”, soprattutto per quelle professioni più esposte quali gli operatori di cantiere e l’agricoltura. Un rischio non certo inatteso, ma a lungo sottovalutato che però, ha già sollevato tante proposte di intervento a livello europeo e nazionale. Un rischio da gestire partendo dalla prevenzione delle ondate di calore e finendo all’organizzazione stessa del lavoro.

Emergenza caldo: quali lavoratori sono a rischio?

Il rischio per la salute dei lavoratori dall’“emergenza caldo” riguarda tantissime attività, alcune nuove (ad esempio, i riders) altre da sempre esposte ai rischi come l’edilizia civile e stradale l’agricoltura, la manutenzione del verde, il settore marittimo e balneare. Li ha identificati compiutamente l’Agenzia europea per la sicurezza nella guida “Heat at work – guidance for workplaces” redatta in maggio per anticipare le misure in vista del caldo estivo.

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Cosa rischiano? Non solo il cosiddetto “colpo di calore”, ricorda l’Europa, ma anche crampi muscolari, dermatiti da sudore, pressione bassa, sincopi ed anche esaurimento da stress tutte ampiamente dettagliate nel Report. Come poter fronteggiare questi rischi? Partendo dalla prevenzione.

Prevenire il rischio caldo è possibile

A livello nazionale, INAIL negli ultimi tre anni ha promosso studi e ricerche per cercare soluzioni sul piano della prevenzione e del monitoraggio del caldo. Nella guida “Esposizione a temperature estreme ed impatti sulla salute e sicurezza sul lavoro”, l’Istituto nel 2022 aveva già individuato i fattori che aggravano il rischio da calore: il basso consumo di liquidi da parte dei lavoratori, la loro esposizione diretta in zone senza ombra o in assenza di aree ventilate o sotto attività fisica intensa. L’assenza di DPI non adeguati a proteggerli dalle alte temperature.

Ma quando un ambiente di lavoro diventa ostile?

Per capirlo, l’INAIL ha anche lanciato nel 2020 il progetto “Worklimate”, un sistema di allerta da caldo specifico per settore che si appoggia ad una piattaforma web ed una App che fornisce previsioni personalizzate per le aziende. Per gestire il rischio caldo l’App monitora le caratteristiche individuali dei lavoratori e dell’ambiente di lavoro e raccoglie casi di studio per orientare la prevenzione. Il monitoraggio delle ondate di calore può bastare come soluzione?

Gli strumenti per gestire il rischio calore sul lavoro

Prevenire i picchi di calore è essenziale, ma non basta. Serve un piano nazionale di azione su questo rischio, visto che l’aumento delle temperature di anno in anno è sempre più evidente e certi lavori non possono fermarsi. Ecco allora che il Ministero del Lavoro si è impegnato il 20 luglio in un Tavolo di confronto con i sindacati e le organizzazioni datoriali per cercare nuove soluzioni, organizzative in primis.

L’idea emersa è quella di imporre un Protocollo di Sicurezza con tutte le azioni da attuare in azienda per prevenire e proteggere il lavoratore, esattamente come avvenne per il rischio da Covid-19 in pandemia. Una procedura operativa, dunque, che parte dall’organizzazione del lavoro, identificando regole e istruzioni operative, con buone prassi per rispondere agli sbalzi termici, dispositivi di protezione adeguati, supporti anticalore e tanta formazione.

Quali strumenti usare? In attesa del Protocollo il Ministero ha steso un Vademecum che distingue ambienti “indoor”, dove si può elaborare un piano d’azione per il calore, e ambienti “outdoor” per i quali è impossibile cambiare le condizioni climatiche, ma si possono attuare semplici precazioni: dall’individuazione di un responsabile per la sorveglianza delle condizioni meteoclimatiche, opportunamente formato alla predisposizione di semplici strumenti come un termometro ed un igrometro. E non solo.

Rischio caldo: la soluzione è nell’organizzazione del lavoro

Il Ministero del lavoro punta tutto sulle misure organizzative aziendali: promuove ad esempio lo smart working; altrimenti, vieta lo svolgimento del lavoro nelle ore più calde (soprattutto in agricoltura), insiste sulle pause di lavoro in ambienti ombreggiati anche realizzando tettoie mobili. Invita ad usare copricapi adeguati ed indumenti leggeri e traspiranti, sollecita le aziende a rendere disponibile l’acqua e ad istruire i lavoratori a bere frequentemente anche in assenza di sete. Si vuole infatti formare i lavoratori sui segnali di danno da calore e sulle misure da prendere in caso di insorgenza dei sintomi.

La tutela del lavoratore non passa soltanto dal rischio “calore”

Il rischio calore che stiamo vivendo induce comunque una riflessione più generale sui rischi che derivano da tutte le condizioni metereologiche avverse: non solo di caldo vive l’estate ma anche di raffiche di vento improvvise, rischi alluvioni e piogge torrenziali che espongono a ben altri rischi chi lavora all’aperto e al chiuso.

Rischi non ancora mappati che richiedono una maggiore presa di coscienza delle istituzioni ed una maggiore sensibilità delle aziende a mettere al centro della tutela il lavoratore e non il lavoro da quei rischi incontrollabili (caldo o freddo, vento o pioggia in ogni stagione) che sono sempre più frequenti e difficilmente gestibili, ma sempre meno ignorabili in ragione del profitto.

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Antonio Mazzuca

Antonio Mazzuca

Dal 2007 sono redattore editoriale tecnico-giuridico esperto e formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. Sono il coordinatore editoriale della Testata tecnica InSic.it e dal 2015 editore della testata culturale registrata Gufetto.press dedicata al mondo della cultura off per le quali scrivo news, articoli, recensioni, interviste e approfondimenti e svolgo formazione ai redattori sia per la parte critica che redazionale e per la scrittura in ottica SEO.

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