Il Ministero dell’Ambiente ha emanato, di concerto con il Ministero dell’Agricoltura, un piano straordinario che regola le nuove modalità di gestione della fauna selvatica. Il provvedimento, pubblicato il 13 giugno in Gazzetta Ufficiale e con decorrenza 1 luglio, stabilisce che “le attività di contenimento faunistico non costituiscono esercizio di attività venatoria e sono attuate anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. È quindi possibile cacciare ovunque e senza limiti di tempo o di luogo.

È trascorso quasi mezzo secolo da quando l’allora Presidente della Repubblica Italiana, Giovanni Leone, promulgò, nel 1977,  la legge 968 che sanciva: “la fauna selvatica Italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della Comunità nazionale“. Da allora molte cose sono cambiate e sempre più associazioni animaliste si battono per la protezione delle specie animali più a rischio di estinzione.

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Dal divieto, alla caccia legale e infine, a quella di contenimento

Sono da poco passati trent’anni dall’11 febbraio 1992, quando, per mancanza del quorum sul referendum che proponeva l’abolizione della caccia su tutto il territorio italiano, venne promulgata la legge 157 che sostituiva la precedente 968/77 e vi apportava una modifica: “La fauna selvatica Italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato […]. Lo Stato può derogare a tale principio nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge, rilasciando al cacciatore una concessione, la cosiddetta licenza di caccia, al fine di abbattere esclusivamente le specie elencate e nei periodi, orari, mezzi, stabiliti dalla legge stessa“.

Le specie catturate e uccise oggi in Italia sono 48 e i cacciatori sono più di 500.000. Nel rispetto del calendario venatorio emesso da ogni regione, la caccia è consentita dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio di ogni anno, tenendo conto di eventuali preaperture al 1° di settembre e posticipi al 10 febbraio. Ogni calendario regionale indica il periodo, le specie e il numero massimo di animali che possono essere uccisi ogni giorno (carniere giornaliero) e nel corso della stagione venatoria (carniere stagionale).

Secondo le ultime stime della Lega Anti Vivisezione, basate sul numero di cacciatori e di carnieri (registri che conservano il numero di animali uccisi durante la battuta di caccia) delle regioni di Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana, “ogni anno possono venire uccisi legalmente 400 milioni di animali, più di 4 milioni per ogni giornata venatoria, 400.000 per ogni ora, 116 al secondo“.

I recenti attacchi all’essere umano da parte degli orsi in Trentino, gli allevamenti e gli animali domestici predati dai branchi di lupi, i luoghi residenziali invasi dai cinghiali in cerca di cibo, l’agricoltura e il paesaggio conquistato da nutrie, volpi, scoiattoli, cornacchie, cervi, daini, cormorani e ghiandaie, hanno dato il via libera a quella che è stata definita caccia di contenimento.

Questo particolare tipo di attività venatoria viene applicata senza limiti di tempo e di luogo per risolvere i problemi di convivenza tra persone e animali selvatici in determinati territori. Le tecniche impiegate per l’abbattimento come arco e frecce, reti, gabbie, trappole, fucili, archi e camere di induzione per eutanasia permettono di intervenire in maniera mirata sulle specie considerate la causa delle problematiche riguardanti l’aumento indiscriminato della popolazione selvatica.

Prioritario è ridurre numericamente le classi delle femmine e dei giovani esemplari per limitare la capacità riproduttiva di alcune specie e contenere prontamente le presenze. Con queste modalità di azione -ovunque e in qualsiasi momento – i controlli sono inattuabili. Il numero di animali uccisi è impossibile da quantificare ed è sconosciuto alle stesse amministrazioni locali.

Da subito appare evidente che l’obiettivo non sia agevolare la coesistenza, ma ancora una volta arrogarsi la sapienza di gestire la fauna, guardandola come un nemico – sostiene Ermanno Giudici, formatore accreditato PoliS-Regione Lombardia -. Una scelta decisamente in direzione contraria rispetto a quella di cercare di lasciare spazio alla natura, di creare nuovi spazi di maggior tutela e minor pressione antropica“.

Fauna selvatica e uomo: una convivenza possibile

La condivisione dell’ambiente è tanto più evidente, quanto più grande è la superficie assorbita dalle attività umane. Il rapido aumento demografico ha frammentato gli spazi che un tempo erano destinati agli animali che hanno dovuto soccombere ad una natura sempre più antropizzata costringendoli in spazi sempre più ridotti e sempre più a ridosso di zone urbanizzate. L’ovvia conseguenza è che l’uomo, sempre più spesso, si trova a condividere gli stessi territori con la fauna selvatica.

Identificare metodi sempre migliori per ridurre o prevenire le interazioni negative e per aumentare il benessere sia delle persone che degli animali è l’obiettivo principale della ricerca sulla coesistenza uomo-fauna. Il rispetto e la conoscenza sono elementi imprescindibili per diminuire drasticamente i rischi. In questo caso è importante il contributo di differenti discipline come etologia, psicologia, sociologia, ingegneria e comunicazione per comprendere a fondo gli impedimenti che rendono la coesistenza difficile da concretizzare. Adottare specifici accorgimenti è il primo passo che può fare l’essere umano per non arrogarsi il diritto di eliminare prima di cercare una soluzione per una pacifica convivenza.

Negli ultimi 30 anni, Stati Uniti e Canada hanno costruito numerosi ponti e cavalcavia per proteggere le popolazioni di fauna selvatica che mettevano quotidianamente a rischio la loro vita e quella degli automobilisti durante l’attraversamento di autostrade a sei corsie. Nei Paesi Bassi c’è l’ecodotto più lungo del mondo, il Natuurbrug Zanderij Crailo che attraversa una linea ferroviaria, un complesso sportivo e un centro direzionale.

A Singapore, un ponte costruito nel 2013 collega due riserve naturali con lo scopo di ripristinarne la connessione ecologica. In Nuova Zelanda sono stati creati dei sottopassaggi pedonali affinché i pinguini blu, bipedi considerati dei veri e propri abitanti del luogo, possano raggiungere in sicurezza la spiaggia dove hanno deciso di nidificare. In Africa, la creazione di tunnel aiuta gli elefanti a riunire i membri di branchi che si sono dispersi, alleviando nel contempo le tensioni dovute agli incontri tra umani e mammiferi proboscidati.

Un ponte sull’isola di Natale in Australia aiuta 50 milioni di granchi rossi ogni anno che altrimenti avrebbero dovuto attraversare una strada estremamente trafficata per poter continuare la loro rotta migratoria, mentre a Washington il Nutty Narrows Bridge aiuta gli scoiattoli ad attraversare una strada trafficata.

La creazione di corridoi ecologici permette agli animali di spostarsi da una zona protetta ad un’altra senza essere costretti ad attraversare zone urbane. Così facendo si evitano rischi di incontri improvvisi che possono avere conseguenze negative anche per la sola interferenza durante l’approvvigionamento del cibo da parte dell’animale o la protezione della propria prole.

In Italia, molti pastori hanno già compreso che la convivenza con i predatori è possibile, grazie all’utilizzo di cani addestrati, campane al collo degli animali per avvertire della presenza di eventuali ‘ospiti indesiderati’ o con la costruzione di recinti di rami spinosi.

L’accettazione della presenza degli animali e il rischio che questa possa generare sono valori importanti per rendere possibile la compresenza. Rendere possibile e tollerabile la coabitazione di un territorio da parte di uomini e animali è una delle sfide più urgenti per la conservazione delle specie ed esige una comprensione accurata sia delle necessità umane che di quelle degli animali e del loro comportamento. Ridimensionare le interazioni negative consentendo la presenza di entrambi sullo stesso territorio è possibile, occorre solamente utilizzare le corrette strategie.

 

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Florinda Ambrogio

Florinda Ambrogio

Laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche con specializzazione in Scienze Forensi, amo la cronaca tanto quanto la narrativa. Da sempre impegnata per portare l'attenzione sui sempre attuali temi della crescita personale. Il cassetto mi piace riempirlo fino all'orlo di sogni che sostituisco non appena diventano realtà. Aperta al cambiamento solo se porta a migliorare.

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