Le immagini che dal 7 ottobre mostrano i massacri in Israele e sulla Striscia di Gaza, che nulla hanno a che fare con una guerra “tradizionale”, sono state narrate da molti giornalisti con parole cariche di sovrastrutture. Tutti con una eccezione, quella della BBC che, ancora oggi, non chiama terroristi i miliziani di Hamas. I media hanno un grande potere e una grande responsabilità nell’offrire al pubblico informazioni e strumenti adeguati per comprendere i conflitti armati senza che essi diventino attori del conflitto. Quali sono parole corrette per descrivere la violenza?

Il peso delle parole e la scelta della BBC

Sabato 7 ottobre il gruppo radicale palestinese Hamas ha avviato un attacco senza precedenti nel sud di Israele, lanciando razzi e attaccando via terra diverse cittadine israeliane a confine con la Striscia di Gaza. Un attacco violento e il più grave subìto da Israele da decenni. Israele ha avviato una ritorsione militare bombardando la Striscia di Gaza.

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Davanti alle dure immagini che hanno fatto il giro del mondo attraverso i social e i telegiornali, i guerriglieri di Hamas sono stati etichettati da molti giornalisti come terroristi. Ad eccezione dei giornalisti della BBCBritish Broadcasting Corporation, ente radiofonico e televisivo inglese, la quale, a tutt’oggi, non usa questo termine. Per questo la Gran Bretagna è stata sommersa di critiche: tutti si chiedono “perché la BBC non dice che gli uomini armati di Hamas che hanno compiuto atrocità spaventose sono terroristi.

All’accusa ha risposto John Simpson, World Affairs Editor della rete inglese, spiegando come le parole terrorista e terrorismo fanno parte del mondo delle “parole sovraccariche” di giudizi morali e in quanto tali la BBC disapprova il loro utilizzo.

Semplicemente non è compito della BBC dire alla gente chi sostenere e chi condannare, chi sono i buoni e chi i cattivi.

Sottolineiamo regolarmente che il governo britannico e altri governi hanno condannato Hamas come organizzazione terroristica, ma questi sono affari loro. Conduciamo anche interviste con ospiti e citiamo collaboratori che descrivono Hamas come terroristi.

Il punto chiave è che non lo diciamo con la nostra voce. Il nostro compito è presentare al nostro pubblico i fatti e lasciare che prendano una decisione.

Simpson sottolinea poi che la BBC non è l’unica testata a seguire questa linea ma altrettante scelgono questa stessa politica.

I principi del giornalismo di pace

I media hanno una grande responsabilità verso il pubblico nel fornire le informazioni. Il conflitto armato in corso tra Hamas e Israele non fa eccezione. Il modo con cui sono riportate le notizie attraverso i telegiornali tradizionali o i social può plasmare l’opinione pubblica e l’agenda politica.

Guardando ai principi del “giornalismo di pace” elaborati da Johan Galtung, tra i fondatori dei peace studies contemporanei, il giornalismo dovrebbe cercare di depolarizzare il conflitto mostrando il nero e il bianco di tutte le parti in causa. Dovrebbe metter in luce la risoluzione della pace e non la violenza del conflitto.

“Terrorista” è una parola carica di giudizio in senso negativo. La scelta della BBC e di altre testate di utilizzare il termine “militante” per definire i combattenti di Hamas è dettata dalla consapevolezza dell’uso politico che si fa del termine per disumanizzare l’avversario dando inoltre una certa visione dei compiti del giornalismo. La scelta di una narrazione equilibrata che dà spazio ai fatti, critica la propaganda di tutte le parti e denuncia le violazioni del diritto internazionale umanitario è l’essenza del buon giornalismo.

Il Fact-checking al tempo di guerra

Quando manca un’informazione verificata è più facile che si generino false notizie. Le fake news non sono un prodotto dei nostri tempi: lo storico francese Marc Bloch, già nel 1921, afferma quanto la censura produce e alimenta false notizie. Bloch, sergente di fanteria durante la Grande Guerra, ha vissuto sia la vita di trincea che l’esposizione continua a notizie false, manipolate o enfatizzate a scopo di propaganda.

Le teorie di Bloch restano attuale anche davanti alla guerra tra Hamas e Israele. La difficoltà nel reperire le informazioni dall’interno della Striscia di Gaza e la censura in atto, anche a scapito di giornalisti locali, limita il fact-checking.

Le atrocità compiute da Hamas sono documentate e rivendicate ma per confermare alcuni fatti saranno necessarie delle inchieste successive. Il pubblico stesso, grazie alla comunicazione social, non è più soltanto un destinatario passivo delle informazioni ma partecipa alla creazione e alla diffusione di contenuti.

In questo scenario complesso, i media corrono il rischio di venir meno alla loro funzione sociale, cioè quella di raccontare oggettivamente e analizzare criticamente i fatti, mantenendo un ruolo terziario che ne garantisca l’affidabilità e l’autorevolezza. Il ruolo di fonti autorevoli, come ad esempio la BBC, è profondamente importante nella risoluzione nonviolenta del conflitto evitando così che nella comunicazione di guerra si divulghi anche la guerra dell’informazione.

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Carlotta Vercesi

Carlotta Vercesi

Parlo della nostra società e di come essa comunica. Il mio obiettivo è di scardinare la narrazione catastrofista e di raccontare le buone idee senza dimenticare i piani politici, sociali, economici. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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