Negli ultimi giorni gli italiani e le italiane sono tornati numerosi nelle sale cinematografiche per emozionarsi e arrabbiarsi davanti a C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Un film che parla di tanti tipi di violenza e che illumina l’azione di tantissime donne italiane che non sono finite sui libri di storia ma che con piccoli e grandi gesti hanno lottato per i loro diritti e la liberazione dall’oppressione patriarcale.

Proprio in questi giorni in cui il tema è molto caldo è importante chiedersi a che punto siamo nel nostro Paese e in Europa rispetto alla parità di genere. Quando si parla di diritti e di lotta non è mai possibile cantare vittoria una volta per tutte, ma ci sono alcuni buoni segnali da mettere in mostra.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici

Indice sulla parità di genere in Italia ed Europa

Nel 2023, l’indice europeo sulla parità di genere ha raggiunto il punteggio più alto degli ultimi 10 anni, superando i 70 punti dove zero equivale a massima discriminazione mentre 100 all’eliminazione delle disuguaglianze di genere. Il miglioramento complessivo è di ben 1.6 punti rispetto all’anno precedente.

L’Italia, nel report, è definito un Paese «catching up»: mostra ancora punteggi bassi (13imo posto su 27) ma sta facendo progressi più veloci, riducendo così il distacco con il resto dell’Europa. Dal 2010 infatti, il nostro Paese ha registrato l’incremento maggiore (+37.5 punti) tra tutti gli stati membri riuscendo a scalare ben otto posizioni.

La salute è il campo in cui l’Italia raggiunge i punteggi più alti, mentre gli ambiti dove si sta migliorando sono quelli del potere e del tempo. Tradotto in termini pratici significa che nel nostro Paese ci sono sempre più donne in posizione di comando economico, politico e sociale mentre la distribuzione tra attività economiche di cura e sociali rispetto ai generi sta diventando più bilanciata (anche perché sono le donne che hanno diminuito le ore dedicate al lavoro non retribuito non gli uomini che lo hanno aumentato).

Giornata della parità retributiva

Quest’anno il 15 novembre è stata nominata la giornata della parità retributiva per porre l’accento su un problema che mina le fondamenta della parità di genere ovvero la differenza nei guadagni tra donne e uomini che in Europa è del 13%. In altri termini per ogni euro guadagnato dagli uomini, le donne ne guadagnano 0,87.

Per provare a far fronte a tale questione, in giugno 2023 in Europa è entrata in vigore la direttiva sulla trasparenza retributiva che sancisce il diritto a ricevere informazioni sulla retribuzione mettendo i lavoratori e le lavoratrici nelle condizioni di far valere il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

In Italia il gender pay gap si attesta al 5,5%, un livello molto basso, tra i migliori d’Europa.

È nell’ambito del lavoro invece che l’Italia fatica ancora molto mantenendo saldamente l’ultima posizione con un punteggio di 65 su una media europea di 73.8. Particolarmente problematica è proprio la partecipazione al mondo del lavoro, soprattutto per le donne con figli. Valore che sarebbe importantissimo riuscire a migliorare, visto che secondo la Banca d’Italia se lavorasse solo il 10% in più delle donne, il PIL del paese potrebbe crescere di circa un altro 10%.

Che cosa ci insegna lo sciopero dell’Islanda?

Al centro dello sciopero islandese che ha riempito le piazze qualche settimana fa c’era proprio il tema della parità negli stipendi.  Perché anche in un Paese come l’Islanda, saldamente al primo posto nel global gender report, insieme alla violenza di genere, questo è ancora un tema?

La questione investe nel profondo il ruolo della donna come perno per i lavori di cura presente in ogni società che si sia sviluppata attraverso dinamiche patriarcali. Secondo l’Unione europea, infatti, due dei motivi per cui le donne vengono pagate meno sono la segregazione delle lavoratrici nei settori a bassa retribuzione, come l’assistenza, la sanità e l’istruzione e la disparità tra lavoro retribuito e non retribuito (cura dei figli, parenti, pulizia e organizzazione delle faccende domestiche). In Italia, ad esempio, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro,  le donne sono responsabili del 74% del totale delle ore che una famiglia dedica al lavoro non retribuito.

Se la battaglia, si capisce, è complessa e da approcciare sia da un punto di vista culturale che normativo, dall’Islanda ci arriva una prospettiva di intervento legislativo molto interessante. La richiesta delle piazze, infatti, era quello di introdurre l’obbligo di rendere pubblici gli stipendi nei settori dove si ha una maggioranza di forza lavoro femminile e gli stipendi sono più bassi. Questo non risolverà il problema nella sua complessità ma sarebbe un segnale di attenzione e di svelamento di dinamiche ancora troppo sottaciute.

Condividi su:
Camilla Valerio

Camilla Valerio

Mi piace scrivere di diritti, sport, attualità e questioni di genere. Collaboro con il Corriere del Mezzogiorno e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al progetto formativo realizzato dall'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

Riscopri anche tu il piacere di informarti!

Il tuo supporto aiuta a proteggere la nostra indipendenza consentendoci di continuare a fare un giornalismo di qualità aperto a tutti.

Sostienici