C’è un’immagine che dovremmo dimenticare: la fila silenziosa, il pacco di cartone anonimo, lo sguardo basso di chi riceve senza poter scegliere. E c’è un’immagine che dovremmo imparare a vedere: una madre che spinge un carrello tra le corsie, suo figlio nel seggiolino che indica i biscotti che preferisce. Lei confronta due marche di passata di pomodoro, sceglie la frutta, saluta la volontaria alla cassa. Non c’è scambio di denaro, ma è avvenuto qualcosa di più prezioso: uno scambio di normalità.
In un tempo segnato dall’insicurezza, questo gesto semplice diventa rivoluzionario. A Regina, in Canada, un supermercato gratuito sta cambiando le regole dell’aiuto. In Italia, in silenzio, lontano dai riflettori, una rete di oltre duecento “empori solidali” lo fa ogni giorno. Questa non è solo la storia di come si combatte la fame. È la storia di come si restituisce la libertà più fondamentale: quella di scegliere e di come, dietro ogni scelta possibile, si ricostruisce una vita.
Un supermercato dove non si paga
A Regina, nelle praterie canadesi, non lo chiamano banco alimentare. Si chiama BMO Asahtowikamik Community Food Hub, che in lingua indigena Cree significa “la loggia che nutre”. E nutre molto più del corpo. Qui, le famiglie non ricevono un pacco, ma un carrello vuoto. Si muovono tra scaffali che offrono prodotti freschi, cibi adatti a culture diverse, beni per l’infanzia. Alla cassa, il totale è sempre zero, ma la sensazione è quella di aver provveduto alla propria famiglia, di aver scelto.
Nel 2023, il BMO Asahtowikamik Community Food Hub ha accolto 66.174 famiglie: non è solo una cifra, ma l’indicatore di un cambiamento profondo. L’obiettivo, come spiegano i responsabili del progetto, è offrire alle persone non solo cibo, ma la possibilità di scegliere cosa non volere, liberandole dal peso di ricevere alimenti inadatti o inutilizzabili, e restituendo loro la dignità di una spesa consapevole.
Il mercato solidale in Italia: dignità oltre l’assistenza
Questa idea, così innovativa, in Italia ha radici profonde. Si chiamano empori solidali e rappresentano una risposta capillare e comunitaria. Da Reggio Emilia a Monfalcone, da Torino a Rimini, sono spazi che ricordano piccoli negozi di quartiere, dove si fa la spesa con una tessera a punti, senza denaro. Non sono luoghi per “poveri”, ma per persone che attraversano un momento di fragilità: una famiglia che ha perso il lavoro, un genitore solo che non arriva a fine mese. L’aiuto è temporaneo, un ponte per ripartire. In realtà come l’Emporio Dora di Reggio Emilia – nato in una ex stazione ferroviaria grazie alla collaborazione tra Comune, volontariato e fondazioni locali – l’obiettivo è intervenire prima che una situazione degeneri in modo irreversibile. A Rimini, molte persone raccontano come fare la spesa in questi luoghi sia qualcosa di diverso dal ricevere un pacco alimentare: significa essere accolti con calore, ascoltati, riconosciuti. Per molti, è la prima volta dopo tanto che qualcuno li chiama per nome. In fondo, la dignità passa anche da questo.
La povertà alimentare oggi colpisce il 5,6% degli italiani. Sei milioni di persone non riescono a permettersi un pasto con proteine ogni due giorni. Tra loro, molte famiglie con minori, molti stranieri, molti invisibili.
In questo scenario, il mercato solidale è una risposta che non umilia. È l’opposto di una fila. È un invito a rialzarsi con discrezione, accompagnati ma non sostituiti.
Più che cibo: libertà, rispetto, umanità
C’è una differenza profonda tra “dare da mangiare” e “rendere possibile il mangiare”. I mercati solidali non distribuiscono solo beni: trasmettono fiducia e costruiscono relazioni. Chi entra per la prima volta lo fa spesso con timore; chi esce, ha uno sguardo diverso.
La possibilità di scegliere riduce lo spreco, migliora la nutrizione e, soprattutto, restituisce un ruolo attivo. Non si è più solo “beneficiari”, ma persone che gestiscono un budget di punti, che pianificano, che decidono. Molti empori, inoltre, non si fermano al carrello: offrono sportelli per il lavoro, corsi di lingua, supporto per i compiti dei figli. Perché la povertà non è solo mancanza di cibo, ma di opportunità, di legami, di futuro.
Il mercato solidale: una rivoluzione silenziosa da ascoltare
«Attraverso il dare da mangiare agli affamati e il dare da bere agli assetati, passa il nostro rapporto con Dio» ha ricordato Papa Francesco. I mercati solidali incarnano questa visione, trasformando l’aiuto in un atto di restituzione: di voce, di autonomia, di identità.
Quando quella madre esce dall’emporio con il suo bambino per mano, non porta con sé solo una spesa. Porta la consapevolezza di avere ancora un ruolo, quello di chi si prende cura, di chi sceglie. In quel carrello, che non ha avuto un prezzo, c’è la promessa di una società che non si limita a sfamare, ma che si impegna a riconoscere e attivare la dignità di ciascuno.
Questa rivoluzione silenziosa merita di essere ascoltata. Perché ogni carrello pieno di rispetto non cambia solo un pasto, ma il volto della povertà.
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