I fondi di caffè possono essere reimpiegati durante il loro ciclo vitale. Anche l’ultimo rifiuto che pensiamo non avere più uno scopo può tornare utile in termini di strategie sostenibili. Così in Australia hanno studiato i fondi di caffè come materiale simile, per caratteristiche fisico-chimiche, alla sabbia per calcestruzzo. L’eco scoperta ha lanciato un seme tra le industrie edili per provare a ridurre l’impatto dei materiali da costruzione.

Quanti fondi di caffè vengono prodotti annualmente

Solo in Australia vengono prodotti ogni anno 75mila tonnellate di fondi di caffè. Nel mondo sono 10 milioni di tonnellate. Così alla RMIT University di Melbourne il Dottor Roychand ha dato via alla ricerca che riflette lo sforzo creativo di ricercatori e scienziati per cercare di portare a termine la mission del ventunesimo secolo in termini di sostenibilità: il reimpiego dei rifiuti. Dall’ipotesi di poter riusare i fondi di caffè nella produzione di calcestruzzo si è passati alla pratica. Il team australiano si è mostrato da subito determinato a portare a termine la ricerca per ridurre l’impatto del materiale edile nell’ambiente. L’estrazione di sabbia per il calcestruzzo infatti è una pratica dannosa e dispendiosa; ma sostituendo una parte di questa con i rifiuti alimentari i vantaggi comporterebbero meno danni all’ambiente e opportunità di donare un nuovo ciclo vitale ai fondi, un intrigante esempio di strategia eco-friendly.

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Creare calcestruzzo da fondi di caffè

La pratica prevede di riscaldare i fondi di caffè a 350° in un processo chiamato pirolisi. La sabbia viene riscaldata tra 700° e 900° con dispersione nell’ambiente di anidride carbonica. L’efficienza energetica dell’impiego di caffè al posto della sabbia sta nella richiesta di temperature più basse durante il processo chimico e nel pirolizzare il materiale in assenza di ossigeno per impedire la produzione e dispersione di CO2. “Non vogliamo che il carbonio entri nell’atmosfera e si aggiunga alle emissioni di gas serra” afferma Roychand; cosa che accade normalmente durante la lavorazione della sabbia per calcestruzzo. Già da qui si comprende l’enorme impegno degli scienziati che hanno dimostrato come sostituendo il 15% della sabbia con biochar di caffè, si ottiene un materiale del 29,3% più resistente.

Continuano i ricercatori: “Strutturalmente, i fondi di caffè pirolizzati sono più fini di una sabbia, ma sono anche più porosi, quindi consentono al cemento di legarsi all’interno della loro struttura” scoperta che consente di confermare la maggiore efficienza del biochar di caffè rispetto al materiale sabbioso. 50 miliardi di tonnellate di sabbia vengono estratte ogni anno nel mondo, sostituendone 7,5 tonnellate (15%) si ridurrebbe per iniziare l’impatto ambientale rilevante dell’estrazione e lavorazione di sabbia. “Sicuramente siamo ancora nella fase iniziale, ci sono ulteriori test da fare sulla durabilità e aspetti simili” concludono in attesa di avviare i test sul campo. Finora sono stati raccolti fondi di caffè prodotti da migliaia di bar per testare lo studio. Terminate le attività di laboratorio il team di ricerca sta proponendo una partnership con l’industria per avviare la parte conclusiva della ricerca.

Fondi di caffè, l’Europa produttore numero uno

In Europa la strategia della RMIT non è arrivata con forte risonanza nonostante tra i maggiori paesi consumatori di caffè e di conseguenza produttori di rifiuti troviamo Finlandia, Norvegia e Islanda secondo l’Organizzazione Internazionale del Caffè (ICO). L’Australia si piazza solo 42esima. Gli scandinavi, che pure si mostrano sempre in prima linea nell’implementare le più curiose strategie di sostenibilità, stavolta non sembrano farsene carico. L’interesse suscitato dalla ricerca è rimasto dunque confinato nell’oceanica gestione dei rifiuti organici e nella capacità degli australiani di sperimentare l’utilizzo di materiali sostenibili nell’edilizia.

Impegno e impiego delle innovazioni sostenibili

Si è visto, in tutto il mondo, un aumento della consapevolezza ambientale rispetto a cosa può essere dannoso per il nostro pianeta. Secondo i dati raccolti l’edilizia contribuisce al 40% delle emissioni globali di gas serra e all’impronta di carbonio. Il 28% dei gas immessi dall’industria edile deriva dai materiali utilizzati e dalla loro lavorazione. Questo fa sì che aumenti l’interesse nella circolarità dell’impiego e trattamento dei prodotti nell’industria pubblica e privata. Nonostante il potenziale delle idee e delle soluzioni innovative e fantasiose come quella australiana; rimangono difficoltà maggiori a fare da muro.

La sfida più grande è quella economica. Su larga scala, adottare strategie sostenibili come questa significherebbe rivoluzionare le infrastrutture adottate e la gestione dei rifiuti di comunità intere. Per non parlare dell’adeguamento dell’industria, abituata da decenni a un certo tipo di lavoro.

Evidenziamo l’infattibile applicazione sul mercato di questa innovazione: non è impossibile, ma difficile; nonostante la sfida primaria rimane quella della salvaguardia ambientale. L’innovazione può e deve agire con cautela. I passi da gigante nella sostenibilità non sono tollerabili, per questo la ricerca lancia degli incipit per invogliare società intere a credere che migliorare sia possibile. Una ricerca stimolante dal punto di vista scientifico può restare confinata nell’ambito sperimentale, riuscendo però ad accendere qualcosa nelle strategie nazionali di azione sul piano ecologico e circolare.

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Flavia Santilli

Flavia Santilli

Studio presso l'Università degli Studi de L'Aquila. Ho collaborato con diverse testate. Sportiva agonista e istruttrice di nuoto. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista. E tu cosa stai aspettando?

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