La COP28 di Dubai, terminata ufficialmente il 12 dicembre 2023, è stata la conferenza ONU sul clima più partecipata, con quasi 100.000 delegati provenienti da tutto il mondo. Tuttavia, la partecipazione da record, non ha contribuito a fugare alcune perplessità legate alla libertà di espressione della società civile, alla repressione dei diritti umani negli Emirati Arabi Uniti e alla presenza, all’interno delle delegazioni nazionali, di numerosi rappresentanti del settore dei combustibili fossili e delle grandi corporations.

Per invertire la tendenza è necessario promuovere processi più inclusivi, che eliminino gli ostacoli all’entrata e tengano conto dei diritti umani e dei bisogni delle comunità più marginalizzate.

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La partecipazione della società civile alla COP

Come riporta l’organizzazione Italian Climate Network (ICN), le basi istituzionali che regolano la partecipazione ad eventi come la COP28 sono fissate nella Convenzione di Aarhus e nell’Accordo di Escazù. Questi si occupano di tutelare l’accesso alle informazioni, la partecipazione pubblica e l’accesso alla giustizia nei processi decisionali in materia ambientale.

In particolare, continua ICN, la Convenzione di Aarhus e l’Accordo di Escazù indicano quegli standard di trasparenza e responsabilità necessari per instaurare un processo decisionale pubblico e democratico, che coinvolga ogni parte interessata.

Quindi, è previsto che enti, ONG e organizzazioni governative possano partecipare alle COP come osservatori formali (observer). Questo dovrebbe garantire ad esperti, attivisti e membri della società civile il diritto di assistere alle negoziazioni, di partecipare ad eventi e conferenze e di esercitare azioni di pressione e advocacy sui delegati nazionali.

Tuttavia, nella pratica, accedere agli spazi e manifestare liberamente non è così scontato. Queste regole, infatti, non sono mai state ufficializzate dalle Parti, lasciando ampio spazio di discrezione per la loro applicazione. Per esempio, la Blue zone, l’area della COP destinata agli observer con il badge e ai delegati nazionali, ricade sotto l’egida dell’ONU. La Green zone, invece, l’aerea espositiva della COP, è regolata dalle autorità del Paese ospitante, che possono incidere sulle modalità di espressione e sulla libertà d’azione della società civile.

Numerose barriere, poi, ostacolano la partecipazione delle categorie più vulnerabili, come le donne, i giovani, le comunità indigene e le persone con disabilità. Il processo di accreditamento, infatti, è complicato e di difficile accesso, soprattutto per le comunità marginalizzate e le persone che non parlano l’inglese o la lingua del posto. Ma non solo: raggiungere le città che ospitano le COP è molto costoso, e in mancanza di un finanziatore, molti attivisti si ritrovano costretti a dover rinunciare a partecipare.

La marcia della società civile per la giustizia climatica alla COP28 di Dubai - 9 dicembre 2023.

La marcia della società civile per la giustizia climatica alla COP28 di Dubai – 9 dicembre 2023.

La società civile alla COP28 di Dubai

Rispetto alla COP di Glasgow del 2021, nelle ultime due edizioni della COP, la la società civile ha avuto davvero poche possibilità di far sentire la propria voce.

Alla COP26 erano scese a manifestare, per le strade della città scozzese, più di 150mila persone. Già alla COP27, macchiata dalle strette misure di sicurezza e dalle grandi limitazioni alla libertà di espressione poste negli anni dal governo di Abdel Fattah al-Sisi, gli attivisti erano solo qualche migliaio. E tra l’altro, cosa inedita per una Conferenza sul clima, erano stati costretti a marciare all’interno del territorio neutro della COP.

A Dubai le cose non sono cambiate. Anche quest’anno, la società civile si è ritrovata a dover marciare all’interno dei viali dell’Expo City, una sede enorme, talmente grande che sembrava essere stata scelta appositamente per disperdere gli attivisti e ridurre le loro possibilità di aggregazione.

I flash mob e le cosiddette action, poi, sono stati relegati in una zona ben delimitata della Blue zone e senza un’autorizzazione rilasciata dalle Nazioni Unite non era possibile manifestare negli spazi della COP. Del tutto impossibile, invece, manifestare sul territorio emiratino.

Gli attivisti degli Stati costieri e insulari manifestano all'ingresso della COP.

Gli attivisti degli Stati costieri e insulari manifestano all’ingresso della COP.

In ogni caso, la Marcia per la giustizia climatica e la People’s Plenary, la plenaria annuale che alla COP riunisce i rappresentanti della società civile e i membri delle varie costituencies (giovani, indigeni, donne, lavoratori, disabili, attivisti) sono stati due momenti toccanti, che hanno contribuito a ricompattare la società civile e a risollevare gli animi in vista degli ultimi giorni di trattative.

Nonostante l’esiguità, gli ostacoli alla partecipazione, la presenza di 2456 rappresentanti del settore dei combustibili fossili (circa il quadruplo rispetto a Sharm-el Sheik) e un Presidente dei lavori, Ahmed al-Jaber, che è anche l’amministratore delegato della compagnia petrolifera di Stato emiratina, la società civile ha avuto un ruolo determinante nell’indirizzare le trattative verso un accordo molto importante.

Cosa bisognerebbe fare

Per rendere il processo più democratico e inclusivo, l’UNFCCC, la Convenzione quadro che si occupa dell’organizzazione delle COP, dovrebbe adottare misure più rigide per evitare che i rappresentanti del fossile partecipino alle trattative come membri delle delegazioni nazionali. Un passaggio fondamentale per garantire che gli interessi commerciali non prevalgano sugli interessi del Pianeta.

L’UNFCCC, poi, dovrebbe eliminare le barriere che limitano la partecipazione delle categorie più vulnerabili. Come riporta ICN, una COP inclusiva è una COP che lavora con i giovani, le donne, le comunità indigene e con portatori di disabilità; che si assicura che siano presenti, non solo come observer, ma che siano in grado di esprimere le proprie idee e la propria voce nel processo negoziale.

Sarebbe importante, infine, che i criteri per assegnare le COP fossero trasparenti, così da assicurare l’inclusività, il rispetto dei diritti umani e le esigenze degli osservatori, ed evitare che le prossime conferenze vengano organizzate dove i diritti di base non sono osservati.

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Marzio Fait

Marzio Fait

Marzio Fait. Mi occupo di comunicazione per il non-profit. Ho partecipato come observer alla COP 27 e alla COP28. Mi occupo di attualità, di diritti umani e di giustizia climatica. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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