Lo scorso 21 febbraio una parte del mondo è rimasta col fiato sospeso in attesa del verdetto dell’Alta Corte di Londra sul processo per l’estradizione di Julian Assange negli USA. Il 26 marzo, dopo oltre un mese, il verdetto è arrivato: per il momento, Julian rimarrà nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, dove languisce in condizioni di salute precarie da quasi cinque anni.

L’11 aprile 2019 infatti, il mondo assistette attonito alla cattura violenta dell’editore e giornalista australiano da parte della Polizia di Scotland Yard, all’interno dell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, per accuse legate ad un improbabile caso svedese, con cui era stato perseguitato nei 9 anni precedenti; accuse poi decadute.

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Assange chiese ed ottenne asilo politico dall’allora Governo Correas (infine revocato il giorno prima della cattura con assurdi pretesti dal nuovo Governo filoamericano dell’Ecuador) non tanto per il caso svedese, quanto piuttosto perché sapeva che quest’ultimo era solo l’anticamera dell’estradizione negli USA. Revocato l’asilo, tolto l’impiccio.

In effetti, proprio come temeva Julian Assange, all’indomani dal suo arresto, da Washigton dichiararono la volontà di estradarlo negli USA per subire un processo su 17 capi d’imputazione – poi saliti a 18 – che secondo i suoi legali ammonterebbero a 175 anni di carcere. Tutto questo per aver rivelato informazioni riservate del Governo americano nel pubblico interesse. In altre parole: per aver svolto il suo lavoro.

Come si è espressa l’Alta Corte britannica

Come leggiamo dal documento ufficiale della sentenza pubblicato ieri da Wikileaks, l’Alta Corte britannica si è espressa nel seguente modo: “Si dà l’opportunità al Governo degli Stati Uniti d’America e al Segretario di Stato di offrire [specifiche, ndr] garanzie […]: che al signor Assange sia consentito fare affidamento sul Primo Emendamento della costituzione degli Stati Uniti; che non sia pregiudicato durante il processo a causa della sua nazionalità; e che la pena di morte non venga imposta”.

Si legge ancora:Se queste garanzie non verranno date, sarà quindi concessa l’opportunità di andare in appello. Se le assicurazioni verranno fornite, le due parti avranno un’ulteriore possibilità di esporre i propri argomenti, e ci sarà un’ulteriore udienza il 20 maggio 2024 per decidere se le assicurazioni saranno sufficienti e per prendere una decisione finale sulla possibilità di appello”.

Ma quali sono i ‘crimini’ commessi da Assange?

I capi d’accusa contro il giornalista australiano derivano dalla pubblicazione del 2010 su Wikileaks di documenti militari statunitensi classificati. I file hanno rivelato prove di crimini di guerra commessi dalle forze armate statunitensi in Iraq e Afghanistan, incluso il drammatico video Collateral murder dell’attacco aereo che nel 2007 uccise 11 persone inermi, tra cui due giornalisti della Reuters e il loro soccorritore, ferendo inoltre i suoi due bambini.

Ironia della sorte, le informazioni sui crimini di guerra ai danni della sicurezza di civili inermi vengono impugnate dagli USA per 17 dei 18 capi d’imputazione sulla base dell’Espionage act, una legge che venne promulgata durante la Prima Guerra Mondiale per punire chi ottenesse e divulgasse informazioni che potessero minare la sicurezza nazionale. Altro grande nome accusato degli stessi crimini fu nel 1973 Daniel Ellsberg, l’analista militare statunitense e whistleblower dei Pentagon Papers, subito scagionato dalle accuse. Scomparso l’anno scorso, Ellsberg è stato un grande sostenitore di Julian Assange, nonché testimone nelle prime fasi del processo.

Perseguire Assange per la pubblicazione di informazioni riservate avrebbe profonde implicazioni per la libertà di stampa, perché pubblicare informazioni riservate è ciò che i giornalisti e le testate giornalistiche spesso devono fare per denunciare gli illeciti del governo”, ha detto l’esperto di libertà di parola Jameel Jaffer, già testimone nel processo di Assange e professore di diritto internazionale alla Columbia University, in una dichiarazione condivisa con Al Jazeera[1].

Una flebile luce in fondo al tunnel

La delibera che è stata consegnata agli avvocati delle due parti in forma scrittadi ieri contiene potenzialmente la chiave per permettere a Julian Assange di fare appello contro il processo di estradizione negli Stati Uniti, principalmente sulla base del rischio di non potersi appellare al Primo emendamento a causa del fatto che non è un cittadino statunitense e del rischio di essere soggetto a pena capitale. Tutte ragioni per le quali l’estradizione non potrebbe essere concessa.

L’Alta Corte ha quindi sostanzialmente rimandato ulteriormente la decisione sull’estradizione del giornalista australiano, accettando di discutere solo tre dei nove punti sollevati dalla difesa, chiedendo ulteriori assicurazioni agli USA. Queste ultime, dovranno essere presentate entro il 16 aprile ed eventualmente discusse dalle parti il prossimo 20 maggio.

Jaffer, che è stato inoltre vicedirettore dell’American Civil Liberties Union e ora dirige il Knight First Amendment Institute della Columbia University, afferma: “La sentenza dell’Alta Corte del Regno Unito offre al governo degli Stati Uniti un’altra opportunità di fare ciò che avrebbe dovuto fare molto tempo fa: far cadere le accuse sull’Espionage Act.

[1] Per ulteriori approfondimenti si legga l’articolo di Al Jazeera su menzionato; la traduzione degli atti del secondo processo ad Assange: Il processo del secolo di cui è vietato parlare, in particolare le deposizioni dei testimoni Daniel Ellsberg e Jameel Jaffer e l’intervista dell’ex Relatore Speciale ONU Nils Melzer sul caso svedese.

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Veronica Tarozzi

Veronica Tarozzi

Cresciuta in Sardegna e vissuta in 4 continenti, ho sviluppato una competenza linguistica culminata con la laurea Magna cum laude in Mediazione Linguistica. Fin dagli albori, la comunicazione è stata una costante, avendo cominciato a scrivere articoli per una testata giornalistica locale e lavorato come speaker radiofonica già dai tempi della scuola superiore. Da diversi anni, mi dedico anche al lavoro volontario in organizzazioni che si occupano di diritti umani, sostenibilità e cambiamento sociale, e da giornalista indipendente scrivo prevalentemente articoli affini a queste tematiche. Sono Tutor per i corsi dell'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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