L’appropriazione culturale è uno dei temi più discussi delle ultime settimane. Questo concetto ha generato diverso scalpore durante il Festival di Venezia, complice l’intervento di Pierfrancesco Favino sul film Ferrari, basato sulla storia del celebre imprenditore e automobilista italiano. Durante la conferenza stampa di Comandate del 2 settembre, pellicola dove lo stesso Favino è protagonista, l’attore ha sottolineato negativamente la scelta di Adam Driver, star americana, come interprete di Enzo Ferrari, personaggio iconico del Bel Paese.

Partendo dalla riflessione di Favino, quindi, si può cogliere l’opportunità di esplorare l’argomento dell’appropriazione culturale nel cinema, evidenziando esempi e dinamiche che circondano il rapporto tra il grande schermo e le tradizioni nazionali.

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L’appropriazione culturale e le parole di Favino

L’appropriazione culturale nel cinema può essere definita come l’atto di adottare peculiarità sociali da parte di individui o gruppi esterni al contesto, spesso senza una comprensione profonda o un rispetto adeguato per la cultura in questione. Nel caso di Adam Driver e la sua interpretazione di Enzo Ferrari, l’osservazione di Francesco Favino è stata la seguente: C’è un tema di appropriazione culturale, non si capisce perché non io ma attori di livello come Toni Servillo, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea non sono coinvolti in questo genere di film che invece affidano ad attori stranieri lontani dai protagonisti reali delle storie, a cominciare dall’accento esotico. […] Mi sembra un atteggiamento di disprezzo nei confronti del sistema italiano, se le leggi comuni sono queste allora partecipiamo anche noi…”

Il commento solleva una serie di punti di discussione. In primo luogo, è importante considerare il concetto stesso di appropriazione culturale. Si tratta di una questione delicata, poiché la settima arte spesso coinvolge attori di diverse nazionalità che interpretano personaggi di culture diverse. Tuttavia, la critica di Favino pone l’accento sulla mancanza di attori italiani di alto livello nel ruolo di personaggi italiani iconici.

D’altra parte, l’industria cinematografica è anche un mercato globale, e l’uso di attori stranieri può talvolta essere giustificato dal desiderio di raggiungere un pubblico internazionale più vasto. Adam Driver, ad esempio, è un attore di fama mondiale che può attirare l’attenzione su un film, oltre ad avere un trascorso importante nel ricoprire un personaggio italiano storico, ovvero Maurizio Gucci, nella pellicola House of Gucci del 2021, diretta da Ridley Scott. Anche quest’opera, d’altronde, suggeriva secondo Favino una sorta di appropriazione culturale, commentando ironicamente “l’accento del New Jersey” su figure così rappresentative del Bel Paese.

La questione doppiaggio sollevata da Mads Mikkelsen

La questione dell”accento esotico” menzionata da Favino solleva un’altra riflessione, approfondita dall’intervento di Mads Mikkelsen, presente a Venezia con il film “Bastarden”. Queste le parole dell’attore danese: Favino ha ragione, gli americani hanno avuto molto più spazio nei film italiani che non il contrario. […] Finché si continua col doppiaggio, a chi interesserà quale sia la lingua o la cultura d’origine? […] Abbiamo visto Tom Cruise interpretare un ufficiale nazista con un leggero accento tedesco e poi diventare americano in piena regola da lì in poi. Puoi farlo in questo tipo di film, in altri invece li rende meno credibili».

Mikkelsen fa notare un esempio interessante con Tom Cruise, che ha interpretato personaggi con accenti e origini diverse nel corso della sua carriera. Questo genera una domanda sul confine tra l’appropriazione culturale e la versatilità degli attori. Può un attore rappresentare una cultura che non gli appartiene, o dovrebbe esserci una maggiore attenzione alla corrispondenza tra attore e personaggio in termini di lingua e cultura?

D’altro canto, il doppiaggio può essere essenziale per rendere accessibili i film a un pubblico globale. Appurato questo, potrebbe essere vantaggioso cercare di mantenere un equilibrio tra il doppiaggio e la promozione della lingua originale dei film, magari offrendo entrambe le opzioni al pubblico per consentire una scelta più consapevole.

L’appropriazione culturale e l’intervento di Andrea Iervolino

Anche Andrea Iervolino, produttore italo-canadese del film Incriminato, è intervenuto sulla vicenda legata all’appropriazione culturale: Negli ultimi 30 anni il cinema italiano non ha creato uno star system riconoscibile nel mondo. Resta chiuso a collaborazioni internazionali che in un mondo globale ritengo al contrario utili alla crescita del settore. […] In Italia, al contrario, proprio per valorizzare e lanciare talent italiani, bisogna fare film internazionali, inserendo nel cast un mix di attori stranieri e nostrani…”.

In pratica, l’idea di realizzare film internazionali con un cast misto di attori stranieri e italiani può essere vista come un tentativo di equilibrare la promozione dei talenti del Bel Paese e la necessità di creare film competitivi sul mercato globale. Questa strategia potrebbe favorire il crossover tra il cinema italiano e quello internazionale, aprendo nuove opportunità per gli attori e i registi italiani. L’osservazione di Favino sull’appropriazione culturale in quel di Venezia, nel bene o nel male, ha smosso svariate tematiche, sulle quali il cinema italiano potrà lavorare e, magari, riconsolidare una propria identità riconoscibile in tutto il mondo.

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Francesco Cretella

Francesco Cretella

Innamorato della comunicazione in ogni sua forma, specialmente se cinematografica e sportiva. Scrivo per passione e ambizione, rifacendomi ai sei elementi più importanti dell'umanità: chi, cosa, quando, dove, come e perché.

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