Per la prima volta a Roma con “I Custodi della Memoria”, una mostra immersiva espone l’arte di trasformare materiali di scarto in opere visive e sonore. Un viaggio tra passato e futuro, alla scoperta della bellezza nascosta nei frammenti dimenticati.
Nella cornice intima e suggestiva della Galleria Apollina, nel quartiere Parioli di Roma, sabato 11 ottobre alle ore 18.45 si inaugura la prima mostra personale di Roberto Franchitti nella Capitale. Architetto di formazione, scultore per vocazione, l’artista molisano espone venti opere sotto il titolo evocativo “I Custodi della Memoria”, un progetto sostenuto dall’Associazione culturale “Cultura è libertà” e curato da Gina Ingrassia.
La mostra, organizzata da Inmagina in collaborazione con Strati d’Arte, propone un itinerario narrativo che fonde arte, mito e identità, dando nuova forma e voce a materiali di scarto: legni, metalli ossidati, plastiche, radici e pelli. Ogni scultura è il frutto di una metamorfosi. Oggetti abbandonati e apparentemente inutili si trasformano in testimoni attivi di un passato che resiste, di una memoria viva che si rigenera attraverso l’arte.
Un linguaggio materico che diventa visione collettiva
Il percorso espositivo alterna forme monolitiche a installazioni effimere, in bilico tra concretezza e spiritualità. Tra le opere, spicca il Guerriero Sannita, realizzato con elementi tecnologici e naturali: un mosaico di plastica, polistirolo, spighe e componenti elettrici. L’opera, guida visiva della mostra, rappresenta una figura identitaria che attraversa il tempo, diventando simbolo di resistenza culturale.
Il tema della metamorfosi è centrale in tutto il suo lavoro, sia dal punto di vista materiale che concettuale. È il caso della scultura dedicata al mito di Perseo e Medusa, in cui l’arte si apre a un’esperienza multisensoriale: la materia dialoga con il suono dell’arpa e dell’armonica a bocca del Maestro Gian Mario Conti e con la voce narrante della curatrice. Scultura, musica e letteratura si fondono per costruire un racconto stratificato, che attraversa epoche e sensibilità.
Tra architettura e arte viscerale
Classe 1955, Roberto Franchitti nasce a Roma ma affonda le radici in Molise, terra che segna profondamente il suo immaginario creativo. Dopo la laurea in Architettura, si dedica alla progettazione, alla scenografia e al design, fino a compiere un passaggio naturale verso l’arte. La sua produzione resta fedele a una ricerca continua e interdisciplinare, in cui ogni tecnica appresa viene assorbita e rielaborata con uno sguardo personale.
Non un artista “formato”, ma un ricercatore dello sguardo. I suoi lavori nascono dal bisogno di vedere l’invisibile, di scomporre la realtà convenzionale per riscoprirne le possibilità latenti. Il suo linguaggio fonde memoria, simbolo e materia in un atto creativo libero, dove la memoria viva si manifesta come strumento di trasformazione e rinascita.
Memoria viva e sogno: l’esperienza immersiva della mostra
Chi varca la soglia della Galleria Apollina si immerge in un’atmosfera sospesa, che richiama l’estetica dei racconti mitici e delle fiabe antiche. Le opere si alternano a installazioni sonore, bozzetti, taccuini e appunti visibili, che rivelano il processo creativo dell’artista. Alcune sculture sembrano sbucare dal piccolo giardino esterno, mimetizzate tra alberi e rovine, in un gioco di presenze e assenze, memoria e oblio.
È proprio nel dialogo tra ciò che resta e ciò che cambia che si trova il cuore della mostra. Ogni scultura custodisce una storia e ne accoglie di nuove, suggerendo che la memoria – quando è viva – non trattiene il passato, ma lo proietta nel futuro.
Nel suo lavoro, la memoria non è nostalgia, ma energia creativa. Ogni frammento riutilizzato è un gesto di resistenza contro l’oblio. Ogni forma creata è un invito a non dimenticare, ma anche a rileggere criticamente il passato per trarne strumenti utili al presente. Così, anche i materiali più umili trovano un nuovo significato, diventando veicoli di consapevolezza e strumenti per interrogare il nostro tempo.
Un invito a ritrovare il tempo e riscoprire le radici
L’artista non propone risposte definitive, ma luoghi in cui pensiero e percezione possano rallentare e ritrovare profondità. Le sue opere invitano a osservare ciò che spesso sfugge, ad accogliere la fragilità come valore, a riconoscere la complessità del vissuto umano nei dettagli più silenziosi. In un’epoca dominata dalla fretta e dall’obsolescenza, questo approccio rappresenta una forma di resistenza poetica.
La mostra chiuderà il 18 ottobre, ma le sue opere continueranno a parlare. Resteranno nei ricordi, nei pensieri che si affacciano dopo la visita, nello sguardo che si posa con più attenzione su ciò che ci circonda. L’arte, quando tocca davvero, non si limita a essere vista: accompagna, suggerisce, cambia il punto di vista. Vale la pena ascoltarla. E magari, tornare a guardare le cose con occhi nuovi.
Leggi anche:
Edvard Munch: un viaggio nell’arte del maestro norvegese
Le mostre d’arte e musei più belli da vedere nel in Italia
Dantedì 2025: un viaggio nella memoria e nell’attualità di Dante Alighieri



