Dopo il primo mese dall’inizio dell’apertura della scuole, in molti istituti italiani è tornato d’attualità un tema ciclico e controverso: quello del dress code scolastico. A riaccendere la discussione è stata una serie di circolari interne emanate da dirigenti scolastici in diverse regioni, volte a stabilire regole più rigide sull’abbigliamento ritenuto adeguato in aula.

Non si tratta, almeno per ora, di una legge nazionale, ma di scelte autonome. Tuttavia, la diffusione sempre più ampia di queste disposizioni ha già trasformato il vestiario in uno dei temi più discussi dell’anno. Scopri di più.

Cosa prevedono le nuove circolari: abbigliamento opportuno

Secondo quanto riportato, molte scuole hanno deciso di intervenire per “ristabilire decoro e rispetto” all’interno degli istituti. I nuovi regolamenti vietano abbigliamenti considerati troppo informali o “da spiaggia”, come shorts, minigonne, bermuda, canottiere o top corti. In alcuni casi si proibiscono anche abiti trasparenti o particolarmente attillati, così come pantaloni a vita bassa e scollature eccessive.

Il controllo, però, non riguarda solo il vestiario. Alcune circolari includono riferimenti espliciti ad aspetti estetici, scoraggiando unghie troppo lunghe o appuntite, trucchi vistosi, piercing eccessivi o colorazioni dei capelli considerate “non naturali”. Chi si presenta con un abbigliamento non conforme può ricevere un richiamo formale o essere invitato a tornare a casa per cambiarsi. I presidi giustificano queste decisioni con la necessità di favorire un clima di rispetto, sicurezza e concentrazione, ricordando che la scuola non è un luogo di svago, ma un ambiente formativo.

Tra educazione e libertà personale: opinioni divergenti

Le nuove regole hanno suscitato un acceso dibattito. Secondo un’indagine condotta da Skuola.net e citata anche da Sky TG24, circa tre studenti su dieci dichiarano di essere già stati richiamati per motivi legati al vestiario, mentre oltre la metà afferma di aver ricevuto raccomandazioni a “vestirsi in modo più adeguato”. Le ragazze sembrano le più colpite, poiché molti dei capi vietati – top, gonne corte, scollature – appartengono all’abbigliamento femminile. Questo ha sollevato preoccupazioni riguardo a un possibile squilibrio di genere, alimentando il sospetto che dietro l’idea di decoro si nascondano, talvolta, stereotipi ancora radicati.

Sul piano educativo, la questione resta complessa. C’è chi sostiene che il dress code scolastico rappresenti un passo necessario per ristabilire senso del limite e rispetto per il contesto, educando gli studenti alla distinzione tra momenti formali e informali. Altri, invece, denunciano un’eccessiva rigidità e il rischio che queste norme diventino strumenti di controllo più che di educazione. Espressioni come “abbigliamento sgarbato” o “outfit che distraggono”, presenti in alcune circolari, sono giudicate troppo vaghe e lasciano spazio a interpretazioni soggettive da parte dei docenti o dei dirigenti.

Disparità tra scuole: verso una regolamentazione nazionale?

Un altro nodo riguarda i costi. In assenza di uniformi ufficiali, chiedere alle famiglie di rispettare un codice di abbigliamento più severo può tradursi in spese aggiuntive, specialmente per chi ha figli in età adolescenziale. Alcuni genitori si sono chiesti se non sarebbe preferibile introdurre un’uniforme unica per tutti, come accade in altri Paesi europei, garantendo così uguaglianza e semplicità. Tuttavia, la mancanza di una normativa nazionale lascia grande libertà di decisione: ogni scuola può adottare o meno le proprie regole, con il risultato che la situazione varia notevolmente da un istituto all’altro.

Per ora, il dress code scolastico rimane un fenomeno locale, ma la sua crescente diffusione potrebbe spingere il Ministero dell’Istruzione e del Merito a intervenire. Tra le ipotesi discusse vi è quella di emanare linee guida generali che definiscano criteri comuni per tutti gli istituti, in modo da evitare disparità e conflitti. Un documento ministeriale potrebbe, per esempio, fissare i principi di decoro e rispetto, lasciando alle scuole autonomia nel declinarli in base alla propria realtà territoriale.

L’idea divide: alcuni insegnanti vedrebbero in una norma nazionale un utile strumento di chiarezza, mentre altri temono che uniformare troppo le regole possa togliere spazio al dialogo educativo e alla libertà di espressione.

Scuola di ieri, scuola di oggi: una questione di identità e convivenza

Oltre la superficie del dibattito, il tema del dress code scolastico tocca un aspetto più profondo: il ruolo educativo della scuola nella società contemporanea. Da un lato, il richiamo al decoro può essere letto come il tentativo di recuperare valori di rispetto e sobrietà, in una realtà sempre più dominata dall’immagine e dall’individualismo. Dall’altro, l’eccessiva regolamentazione rischia di allontanare gli studenti: la scuola non è il luogo delle imposizioni, ma quello a favore di una crescita condivisa.

In fondo, il modo in cui ci si veste a scuola è anche il modo in cui si comunica con gli altri. Riuscire a trovare un equilibrio tra libertà personale e rispetto delle regole potrebbe essere la vera sfida dei prossimi anni, per una scuola capace di educare non solo alla conoscenza, ma anche al rispetto e alla consapevolezza di sé.

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Kelly Di Blas

Insegnante e Dottoressa in Scienze Politiche Internazionali. Credo fortemente nella necessità di un nuovo approccio alla scrittura e, per questo, ho scelto il giornalismo costruttivo. Sono curiosa, leggo molto e parlo troppo. I miei interessi sono rivolti al mondo dell'educazione, della letteratura e delle politiche sociali. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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