L’11 novembre, cioè domani, è la giornata mondiale dello shopping in cui gli acquisti registrano un’impennata a livello globale. Ovvio è che il marketing cavalca l’onda di questi anniversari e allora viene spontaneo riflettere:  ma siamo davvero sicuri di scegliere noi ciò che compriamo o siamo persuasi più di quanto pensiamo?

Questa domanda si potrebbe porre a coloro che si occupano di neuromarketing, ovvero la scienza che, basandosi su uno studio circa le nostre reazioni davanti a brand e prodotti, riesce ad individuare il gradimento dei consumatori e sfruttare tali informazioni per veicolare sempre più i nostri acquisti.

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Persuasione negli acquisti: cos’è il neuromarketing

Partiamo dal fatto constatato che “siamo prevedibilmente razionali” e per questo quando compriamo siamo guidati da un processo di facilitazione della decisione. La scienza del neuromarketing misura, infatti, con tecnologie appropriate, gli impulsi che il cervello trasmette quando guarda un prodotto sul mercato o una pubblicità, razionalizzando il gradimento dei consumatori.

Le nostre emozioni, così, diventano materiale di studio per persuaderci sempre più circa ciò che compriamo in un momento in cui abbiamo poco tempo, bombardati da pubblicità e in balia di decisioni impulsive.

Tutto ciò veicola il posizionamento della merce sugli scaffali o dona la possibilità di correggere campagne pubblicitarie poco riuscite.

Non a caso, infatti, i beni primari in un supermercato, come per esempio sale e zucchero, sono inseriti all’interno di corsie ben distanti tra loro. In questo modo siamo portati a fare percorsi più lunghi, incentivandoci a maggior acquisti. O ancora: inserire, all’entrata di un negozio, la merce di maggior attrazione in modo da tener impresso nella mente quella sensazione di gradimento anche negli espositori successivi.

Neuromarketing.pixabay

La persuasione del neuromarketing

Persuasi nelle compere e soddisfatti negli acquisti

Il marketing trova, inoltre, la sua forza nel rivolgere la sua persuasione ai non esperti. Difficilmente un sommelier, in un supermercato, si farà ingannare dall’accattivante etichetta colorata di una bottiglia di vino senza aver prima letto le informazioni principali. La stessa, invece, può catturare l’attenzione di chi è meno esperto e ciò si basa sul fatto che il 95% delle nostre decisioni sono inconsce e guidate da automatismi, come i bias cognitivi.

L’effetto esca ne è un esempio e tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo cascati. Se un prodotto costa 150 euro e uno simile 199 euro ma il commesso aggiunge al tagliandino che quest’ultimo è stato scontato del 70%, saremo istintivamente portati a scegliere il secondo. Uguale la strategia McDonald’s: è bastato mettere a contrasto menù piccolo, medio e grande per far si di vendere molto di più quello medio. Questo succede dal momento in cui siamo più predisposti a scegliere, nell’immediatezza, la via di mezzo.

Se, invece, sull’etichetta di una carne leggiamo “magra per il 75%” o “grassa al 25%”, avremo sicuramente una percezione diversa pur essendoci scritto il medesimo concetto. Questo è una tipologia di bias definita effetto framing: ci si presenta la realtà focalizzandola sul positivo essendo, incoscientemente, avversi alle perdite. Un po’ come quando ci propongono un’operazione che avrà il 10% di possibilità di fallimento. La affrontereste? E se vi dicessero che ha il 90% di successo? Ha sicuramente un altro impatto.

Famosa è anche la tecnica dell’ancoraggio al quale si affidava Steve Jobs per annunciare il prezzo dell’i-pad mandando la folla in visibilio: mise, infatti, a confronto i 999 dollari, proiettati sullo schermo gigante dietro di lui, per poi comunicare il reale costo dell’i-pad a 499 dollari. Gli spettatori hanno percepito così l’ottimo affare rispetto al primo riferimento di valore.

Viene da chiedersi dunque? Ci stiamo facendo prendere in giro? No. Semplicemente, nel contesto acquisti, le nostre decisioni dipendono in primis dalle nostre emozioni bypassando molte volte la razionalità. E come diceva il neuropsicologo portoghese António DamásioNon siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. 

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Laura Corona

Laura Corona

Aspirante giornalista laureata in Lettere. Scrivo di Cultura e Lifestyle collaborando con BuoneNotizie.it, grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista

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