Quest’estate Humana Italia ha inaugurato l’apertura del suo quinto negozio a Milano. Si tratta di uno store che permette l’acquisto responsabile di abiti usati, tramite cui l’organizzazione sostiene diverse iniziative sociali e progetti in difesa dell’ambiente in Italia e nel mondo. Aspetto, quest’ultimo, che integra quello più vasto dell’economia circolare e della sua implementazione, che sembra trovare sempre più spazio nel tessuto produttivo italiano. Ad affermarlo è il 6° rapporto sull’economia circolare in Italia, il quale ricorda tuttavia che diversi fattori tendono ancora a rallentarne l’adozione da parte di molte imprese.
Humana Italia in pillole
Humana Italia è un’organizzazione umanitaria arrivata in Italia nel 1998, che promuove la sostenibilità sociale tramite attività incentrate sulla solidarietà e lo sviluppo sostenibile. Fa parte della rete internazionale Humana People to People, le cui origini affondano in Danimarca negli anni ’70.
Humana finanzia e realizza progetti nel Sud del mondo e contribuisce alla tutela dell’ambiente attraverso la raccolta, la vendita e la donazione di abiti usati. In Italia dà inoltre lavoro a trecento persone di ventinove nazionalità diverse, organizza corsi di italiano per stranieri e iniziative sociali di inclusione. Humana costituisce l’esempio di come sia possibile realizzare finalità sociali investendo nella sostenibilità.
Sostenibilità ambientale e solidarietà al centro di Humana
Il concetto di economia circolare richiama un insieme di azioni adottabili nei processi produttivi. In particolare, le azioni che meglio la rappresentano, secondo l’87,4% degli imprenditori italiani, sono il riuso e la riparabilità dei beni. A cui vanno aggiunte la riduzione della produzione di rifiuti e il riciclo. A registrare questi dati è il 6° rapporto sull’economia circolare in Italia pubblicato a maggio del presente anno dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Il medesimo report evidenzia che Il 65% delle imprese italiane dichiara di avere attuato almeno uno dei processi riconducibili all’economia circolare. Dato in aumento rispetto a due anni fa e che sembra mostrare una coscienza sempre più radicata nel tessuto produttivo del Paese.
Una sensibilità ben presente in Humana, la cui attività principale, attraverso la quale finanzia le proprie iniziative, è proprio quella volta al recupero degli abiti usati che non vengono più indossati, al fine di tutelare l’ambiente. Tramite circa 5mila contenitori distribuiti in milleduecento comuni essa stimola la cittadinanza a disfarsi virtuosamente degli abiti vecchi o usurati. A quest’ultimi, infatti, Humana dona una seconda vita, attraverso il loro riutilizzo e riciclo, generando così benefici ambientali e sociali.
La circolarità tra sostenibilità e solidarietà
La cosa che colpisce maggiormente di questa realtà è la capacità di aver creato una perfetta circolarità tra sostenibilità (ambientale ed economica) e solidarietà. Una volta rimessi a nuovo gli abiti usati, la loro commercializzazione avviene tramite i negozi Humana Vintage e Humana People presenti in quasi tutte le principali città italiane.
Ma l’aspetto più interessante è che i ricavi delle vendite vengono poi impiegati per i progetti di cooperazione internazionale. Come si apprende dal loro sito internet, attualmente l’organizzazione umanitaria ha progetti in Brasile, in diversi Paesi del Centro e del Sud-Africa, in India, Laos e Cina. Senza contare le iniziative che svolge qui in Italia, dove oltre a promuovere corsi di italiano e a favorire percorsi di integrazione, dà lavoro a persone di diverse nazionalità.
Una proposta per il futuro
Quella di Humana non rappresenta solamente un caso interessante da studiare, ma potrebbe costituire un modello per il futuro. La circolarità tra solidarietà e sostenibilità che ha sperimentato costituisce il fattore chiave per guardare il futuro con occhi umani. Eppure, come spesso accade, di modelli come quello rappresentato da Humana non se ne sente parlare.
Aspetto che ci dà modo di sottolineare l’importanza di fare del giornalismo costruttivo. Quest’ultimo, più che descrivere una realtà che non esiste, si impegna a trovare fatti e informazioni che troppo spesso non vengono affrontati dal mondo dell’informazione. In tal modo, il danno che ne ricevi è doppio: non solo non conosci la realtà che gira intorno a te, ma soprattutto finisci con il convincerti che soltanto le notizie tendenzialmente negative che leggi o ascolti siano la verità ultima di un fenomeno. È quanto più opportuno, invece, cambiare registro e virare decisamente verso un modo alternativo di fare giornalismo.

