Lo smart working prima della pandemia era una modalità di lavoro utilizzata da poche imprese private, principalmente dell’ambito consulenziale, dei servizi bancari oppure del settore ICT (Information and Communication Technologies). L’avvento della pandemia e le misure messe in atto dai governi hanno contribuito ad accelerare l’innovazione nell’adozione di forme di lavoro agile.

In termini numerici, l’Osservatorio del Politecnico di Milano sostiene che i lavoratori in smart working in Italia sono passati da circa 570.000 prima della pandemia, a più di 6 milioni e mezzo durante il periodo di emergenza sanitaria. Dal 2020 inoltre, il lavoro da remoto ha coinvolto un nuovo attore: la Pubblica Amministrazione, prima del tutto estranea a forme di lavoro non in presenza.

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La rivoluzione del lavoro da remoto

Il lavoro del remoto ha aperto la strada a un cambio di paradigma della vita dell’intera società. A cambiare non è solo il luogo da cui il lavoratore svolge le proprie prestazioni, ma la spinta del cambiamento riguarda l’intera giornata delle persone, il rapporto con l’ambiente e la struttura degli spazi aziendali e urbani.

L’impatto dello smart working sulla giornata lavorativa

Molti lavoratori sostengono che lo smart working abbia portato a un miglioramento del rapporto work-life balance, che consiste nell’equilibrio fra vita lavorativa e professionale. Lavorando da casa si ha il vantaggio di non dover perder tempo negli spostamenti, quantificati secondo Michael Page in circa 60 minuti al giorno, e di ottimizzare anche quei tempi non lavorativi che nel lavoro in presenza sono obbligati dentro le mura dell’ufficio. Un esempio sono le pause, riconosciute dalla legge, che possono essere sfruttate per svolgere attività domestiche o sbrigare svariate incombenze anche utilizzando il telefono protetti dalla privacy della propria abitazione.

Inoltre, lo smart working permette di vivere diversamente il tempo dedicato alla pausa pranzo, rendendo possibile consumare il pasto a casa, con un notevole risparmio economico, senza doversi adeguare a ciò che è offerto da mense, bar o ristoranti e soprattutto di rendere possibile la pausa pranzo in compagnia non di colleghi ma dei propri familiari, vantaggio indiscutibile per i lavoratori con figli a carico.

Ovviamente non mancano le critiche, che si articolano principalmente nelle segnalazioni di tecnostress, cioè l’impatto negativo sulla psiche e sul comportamento dall’uso costante della tecnologie e di overworking, che si verifica quando si dedica una eccessiva quantità di tempo alle attività lavorative, trascurando il riposo.

Il diritto alla disconnessione, si sta attivando per ovviare ad alcune di queste criticità, garantendo il diritto dei dipendenti di prendere le distanze da e-mail, chiamate, o messaggio al di fuori dell’orario di lavoro concordato.

Una maggiore sostenibilità ambientale

Non dovendosi recare in ufficio, molti lavoratori hanno ridotto l’utilizzo di mezzi privati spesso semivuoti, per spostarsi nel tragitto casa-lavoro e il ricorso a quelli pubblici. Questo implica un impatto positivo sull’ambiente a causa della notevole riduzione delle emissioni di CO2 e delle congestioni stradali del traffico dell’orario di punta che, rallentando il transito dei veicoli, costringono gli automobilisti a numerosi arresti e ripartenze e di conseguenza a un maggior consumo di carburante.

L’ambiente beneficia anche della digitalizzazione di molti processi aziendali, che spesso si traduce in una condivisione virtuale e non più cartacea, di documenti, appunti e report, che vengono quindi stampati sempre meno.

La ridefinizione degli spazi

Sono molti gli spazi ad essere impattati dall’avvento dello smart working. In prima battuta gli uffici si stanno trasformando in open-space e con postazioni non più fisse per ogni dipendente, ma fruibili da utenti diversi. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano sarebbero il 51% le grandi imprese che stanno pensando di ripensare gli spazi delle loro strutture.

Ad essere riorganizzate sono anche le case dei lavoratori, che devono creare spazi per ospitare postazioni lavorative domestiche, armonizzandosi con le esigenze di tutta la famiglia, in un contesto di sicurezza, luci e rumori diversi da quelli dei canonici uffici progettati con l’unico fine di ospitare dei lavoratori per 8 ore al giorno.

Infine, vanno menzionati anche i cambiamenti urbani: Stefano Cingolani su “Il Foglio” stima che, mediamente, nei comuni italiani, sia possibile esercitare da casa da un terzo alla metà dei lavori attivi. Questo numero sembra essere destinato a crescere nei grandi centri urbani. Le grandi città avrebbero così l’opportunità di decongestionare strade, mezzi e interi quartieri, andando a migliorare notevolmente la qualità della vita dei propri abitanti.

La fine del lavoro emergenziale

 

Dopo i primi mesi di lockdown totale, durante i quali lo smart working ha registrato le numeriche maggiori, i lavoratori sono progressivamente rientrati nelle loro sedi lavorative, ma con dinamiche diverse da quelle pre-Covid. La tendenza che si sta affermando è quella della settimana ibrida, che prevede alcuni giorni da remoto e alcuni giorni di lavoro in presenza.

Le stime si aggirano intorno ai 2,7 giorni a settimana di lavoro da remoto per le grandi aziende, e 1,4 giorni per la Pubblica Amministrazione. Lo smart working sembra quindi non essere una misura emergenziale condannata a morire ma un cambio di paradigma sociale destinato a diffondersi, ad affinarsi e a traghettare i lavoratori verso nuove dinamiche di equilibrio fra vita lavorativa e vita privata.

 

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Chiara Bastianelli

Chiara Bastianelli

Laurea in Economia e Direzione Aziendale. Project manager in una società di consulenza strategica per le imprese. Appassionata di aziende, finanza e letteratura.

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