A più di mezzo secolo di distanza dalla proclamazione della Giornata mondiale della Terra, quest’anno l’evento assume una portata diversa. In un certo senso più urgente rispetto agli anni passati. Se l’emergenza del climate change è all’ordine del giorno da diversi anni, in questo 2022 c’è un elemento in più che rende le riflessioni sullo stato di salute del nostro pianeta ancora più improrogabili. Mi riferisco, ovviamente, alla guerra in Ucraina o meglio,  all’impatto che il conflitto russo-ucraino ha sulla questione ambientale.

I punti salienti sono due. Da una parte, il tema delle risorse e delle possibili alternative al gas russo: una situazione difficile che risulta ancora più critica se collocata all’interno della crisi energetica già esistente. Senza scendere in un’analisi delle cause e delle alternative (cosa che abbiamo fatto in diversi articoli) c’è un elemento di fondo clamoroso su cui è doveroso puntare il dito: la situazione ha ulteriormente portato alla ribalta come lo sviluppo delle fonti rinnovabili non sia ancora al passo con la domanda e – elemento ancora più clamoroso – il fatto che, in piena e conclamata emergenza climatica, si sia ipotizzato di spianare nuovamente la strada ai combustibili fossili. Quegli stessi combustibili fossili contro cui il Guardian – nel 2015 – aveva orientato una campagna condotta con gli strumenti del giornalismo costruttivo, “Keep it in the Ground”.

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Secondo aspetto che ha a che vedere con la Giornata mondiale della Terra e che il conflitto in Ucraina ha fatto emergere. L’allusione di Putin al ricorso ad armi di distruzione di massa ha – come è logico che sia – scatenato un’ondata di terrore sapientemente cavalcata da molti media, che l’hanno amplificata a dismisura incrementando i timori diffusi di distruzione della specie umana. Ed ecco, l’elemento che fa da trait d’union tra questi due aspetti è proprio questo: l’attitudine a guardare ai grandi temi dell’attualità da un punto di vista molto parziale. Per dirla con Nietzsche, “umano, troppo umano“. Come giornalista, nella Giornata mondiale della Terra sento di avere il compito di rispolverare la missione di bravo “cane da guardia della società”, che ogni giornalista dovrebbe avere, puntando il dito proprio contro questa visione antropocentrica. Sia che si parli di ricorso ai combustibili fossili, sia che si metta in sordina il possibile effetto non-collaterale dell’eventuale ricorso ad armi nucleari (la distruzione non solo della specie umana, ma del pianeta) l’errore è sempre lo stesso: considerare le cose solo in virtù di un unico punto di vista, il nostro.

Che fare, quindi? Che contributo “costruttivo” può dare il giornalismo alla salvaguardia della salute del nostro pianeta? La verità è che gli spunti di riflessione e azione non mancano. Sarebbe già una gran cosa, per esempio, evitare di accendere i riflettori solo e unicamente sulla guerra, come sta facendo la maggior parte dei media. Questo non significherebbe relativizzare la gravità del conflitto, ma – al contrario – darle il giusto peso, aiutando i lettori a capire che l’ambito dei problemi che ci troviamo a gestire, come specie umana, è in realtà molto più ampio. E che in questo contesto l’emergenza ambientale non può e non deve essere passata in secondo piano.

C’è altro, però, che possiamo fare. Possiamo cercare di raccontare i cambiamenti climatici in modo diverso: da una parte, portando alla luce anche le storie che possono rappresentare delle soluzioni potenzialmente scalabili, dall’altra esercitando una critica capillare e scrupolosa sulle soluzioni stesse, facendone emergere le possibili contraddizioni. Sulle rinnovabili, per esempio, ci sarebbe molto da dire. La questione delle famose “terre rare” fa emergere domande scomode sul possibile impatto negativo di molte forme di energia green. Non è un caso che diverse popolazioni autoctone del Nord Europa stiano già combattendo contro l’impatto ambientale reale di diverse forme di energia “pulita”. In questo senso, il giornalismo in generale e il giornalismo costruttivo in primis dovrebbero esercitare la stessa capacità di analisi critica con cui scandagliamo i problemi, anche sulle soluzioni.

Ma non è tutto. C’è altro che possiamo fare. Possiamo aiutare i lettori, per esempio, a prendere atto di quello che è l’impatto reale delle loro scelte individuali in termini di consumi. L’ultimo rapporto di “Perils of Perception” – l’analisi di Ipsos che da diversi anni evidenzia il divario tra realtà e percezione – ha fatto emergere una sostanziale ignoranza tra l’impatto reale e quello percepito di alcune delle scelte con cui, in assoluta buona fede, cerchiamo di dare il nostro contributo alla salvaguardia del pianeta. Come giornalisti, abbiamo il dovere di conoscere quali, di queste scelte, hanno più impatto aiutando i lettori a orientarsi in questo senso. Altrimenti, il rischio è quello di limitarsi a partecipare a un gigantesco green washing capace solo di ripulire le coscienze senza cambiare di una virgola la realtà che ci circonda. Ma su questo non dirò altro perché sul tema stiamo già costruendo un’inchiesta.

La Giornata mondiale della Terra 2022 sembra fatta apposta per portare molti nodi al pettine. Sta a noi – ma anche a voi lettori, che in fondo siete la nostra ragion d’essere – far sì che questo “appuntamento allo specchio” non passi inosservato.

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Martina Fragale

Martina Fragale

Giornalista pubblicista dal 2013 grazie alla collaborazione con BuoneNotizie.it, di cui oggi sono direttrice. Mi occupo di temi legati all’Artico e ai cambiamenti climatici; come docente tengo corsi per l’Ordine dei Giornalisti e collaboro con l’Università Statale di Milano.

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