11 settembre 2001. Ventuno anni dopo il crollo delle Torri Gemelle, c’è una domanda che forse non ti sei mai fatto e che potrebbe aiutarti a capire molte cose: che impatto hanno avuto su di te le notizie che hai letto o ascoltato negli ultimi 21 anni?

Ho cominciato a pormela poche settimane dopo il crollo delle Torri Gemelle e, nel corso di questi 21 anni, ho trovato ben 14 risposte. Alcune ti lasceranno impressionato, soprattutto se lavori nel settore dell’informazione e quelle notizie le hai scritte e pubblicate proprio tu.

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Nei mesi e negli anni successivi a quel drammatico evento, ci sono stati alcuni aspetti in quelle cronache, ma non solo, che mi avevano colpito particolarmente, e che hanno cambiato radicalmente la mia vita. E molto probabilmente anche la tua, anche se non te ne sei reso conto.

Sono certo che anche tu ti ricordi vividamente, ancora oggi, dove ti trovavi esattamente e cosa stavi facendo nel momento in cui hai appreso la notizia quel fatidico 11 settembre.

Io stavo guidando la mia auto e avevo la radio accesa, e già dalle prime notizie mi fu subito chiara la gravità di quello che stava accadendo. Tutte le trasmissioni radiofoniche ne stavano parlando, i programmi musicali furono interrotti. Il primo bollettino radiofonico che ascoltai fu impietoso: 5.000 vittime.

Appena rientrai a casa accesi la tv per guardare le immagini. Erano passate solo poche ore e la stima dei morti saliva di ora in ora, un tg dopo l’altro. Si parlava già di 10.000 morti sotto quelle macerie, e l’ultimo notiziario della notte diede il bilancio drammatico, che sembrava ormai quello definitivo: 15.000 vittime. Ma non era così…

La mattina successiva, il 12 settembre, il Corriere della Sera titolava così:

11 settembre 2001: "Ventimila morti sotto le macerie" era il titolo a pagina 3 del Corriere della Sera il giorno successivo all'attacco alle torri gemelle

11 settembre 2001: “Ventimila morti tra le macerie” era il titolo a pagina 3 del Corriere della Sera il giorno successivo all’attacco alle Torri Gemelle

Qualche settimana dopo, erano le 20:30 di una sera di ottobre, stavo facendo un po’ di zapping in tv: l’ora di punta. Nonostante fosse passato quasi un mese dal quel fatidico 11 settembre, su tutti i primi sei canali si parlava solo di
terrorismo. Nei tg, quasi tutti i servizi erano sul terrorismo. I salotti televisivi, le inchieste, gli approfondimenti, le interviste, erano tutte correlate all’attacco alle torri.

Sugli altri canali, e nella fascia oraria successiva, andavano regolarmente in onda film con scene di violenza, risse, sparatorie, scenari apocalittici, forse proprio quelli a cui si è ispirato l’attentato.

Spensi il televisore. Inquietato e insoddisfatto, decisi di scendere a fare due passi sotto casa. Fu lì che mi domandai per la prima volta: «Com’è possibile che non si parli di nient’altro?». Sembrava davvero che il mondo si fosse fermato a quell’11 settembre e non fosse più andato avanti. Sembrava che il mondo stesse per finire. Come mai nessuno stava facendo qualcosa per contrastare questa percezione?

Fu così che nacque l’idea di BuoneNotizie.it: una risposta semplice a una domanda banale, che nel corso di questi 21 anni si è evoluta e ha trovato molte risposte. Eccole:

1. L’attacco dell’11 settembre è stato certamente un atto gravissimo che ha segnato la storia e che ha avuto importanti conseguenze nella vita di molti di noi. Il bilancio definitivo del crollo delle Torri Gemelle fu “solo” di 2.974 morti, e non di decine di migliaia come inizialmente ipotizzato dai media per fare più ascolti. Il record dell’irresponsabilità fu di una testata giornalistica che strillò nel titolo di apertura “25.000 vittime”. Quasi 10 volte tanto. Una sorta di competizione che si è rilevata distruttiva per i media stessi. Nelle risposte successive scoprirai perché.

2. Secondo un sondaggio di EuroDAP del 2010, associazione europea che studia i disturbi da ansia e attacchi di panico, i mass-media sono al 1° posto nella classifica delle principali cause di ansia.

3. Nel 2011, insieme a un gruppo di amici e colleghi, rilanciai l’idea di una testata giornalistica che desse le notizie in altra prospettiva. Fu così che BuoneNotizie.it vinse il 1° premio StartCup Lombardia e, poche settimane dopo, il 1° premio Working Capital, entrambi nella categoria Social Innovation, su 580 progetti partecipanti, a conferma della necessità di un giornalismo più attento, più costruttivo, più rispettoso dei lettori.

4. Pochi mesi dopo, con un professore del dipartimento di psicologia della comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, abbiamo stimato che il costo sostenuto dal Servizio Sanitario Nazionale per curare ansia e depressione a causa dei mass-media può arrivare fino a 200 euro pro-capite. Detto in altre parole, le notizie nuocciono gravemente alla salute, almeno per come vengono diffuse ancora oggi. L’analisi fu valutata da una giuria internazionale e premiata ex-aequo al 3° posto all’edizione italiana della Global Social Venture Competition, un concorso dell’Università di Berkeley che premia i progetti a più alto impatto sociale.

5. A conferma delle conseguenze gravi e disastrose che ancora oggi affliggono il settore dei media e del giornalismo, da quel fatidico 11 settembre, sono ancora oggi i sondaggi di tutto il mondo: negli Stati Uniti, la fiducia nelle istituzioni americane pone l’intero apparato mediatico ai livelli più bassi di sempre (fonte: Confidence in American Institutions, Gallup).

6. In diverse nazioni è stata misurata la fiducia nelle diverse professioni. In Danimarca la credibilità dei giornalisti è in fondo alla classifica ed è simile a quella di tassisti, venditori di auto e agenti immobiliari (fonte: Università di Aarhus).

7. Nel resto d’Europa le cose non sono molto diverse. Secondo il rapporto di Veracity, elaborato da Ipsos, in UK la credibilità nelle professioni vede i politici in fondo alla classifica, seguiti dai giornalisti e dagli agenti immobiliari (fonte Veracity, Ipsos, 2018).

8. In Italia, abbiamo fatto un sondaggio nel 2018 con gli studenti del secondo anno della facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi dell’Insubria, da cui è emerso che in Italia il giornalista è percepito come meno credibile di un parrucchiere. Ancora peggio il conduttore tv, la cui credibilità è risultata superiore solo a quella dei nostri politici, di badanti e, ultimo in classifica, dei blogger.

9. E non c’è da stupirsi: il 55% dello stesso campione di intervistati ha risposto che l’informazione non coinvolge più come prima perché spettacolarizza ogni cosa pur di avere attenzione ed è troppo condizionata da forze politiche ed editori (44%) risultando in ultima analisi poco attendibile (39%).

10. Dati confermati anche dal campione, ben più ampio (38 Paesi nei 5 continenti), intervistato dal Reuters Institute di Oxford: secondo il Digital News Report 2022, il 32% della popolazione mondiale (36% in Italia) ha smesso deliberatamente di informarsi perché le notizie hanno un effetto negativo sul proprio umore e, in seconda battuta, perché le notizie sono ritenute poco veritiere, oltre a trasmettere un senso di impotenza di fronte ai problemi raccontati.

11. Tutto ciò è stato confermato negli ultimi 20 anni: a partire dell’avvento di internet, assistiamo a un crollo costante e repentino della raccolta pubblicitaria su tutti i mezzi di comunicazione, ad eccezione del digitale dove però la crescita non è stata assolutamente sufficiente a compensare il crollo di tutti gli altri comparti (tv, radio, giornali, affissioni).

12. Negli ultimi 26 anni abbiamo assistito a un crollo vertiginoso delle vendite di copie cartacee nelle edicole (dalle 6.800.000 copie giornaliere del 1992, anno di massima espansione delle vendite, anche grazie alla curiosità intorno all’inchiesta giudiziaria su Tangentopoli, a 1.832.868 nel febbraio 2018 (Fonte Fieg).

13. Ovviamente anche le edicole ne hanno risentito più che dimezzandosi: da 38.000 nel 2001 a 15.126 nel 2017 secondo i dati delle Camere di Commercio.

14. Stesso destino per i giornalisti: dal 2015 al 2019 sono stati persi 2.700 posti di lavoro secondo l’INPGI (la cassa previdenziale della categoria). Nel 2019 soltanto il 16% circa dei giornalisti italiani ha un contratto di lavoro giornalistico (15.876 su 110.980). Gli altri vengono definiti free-lance o autonomi (per chi vede il bicchiere mezzo pieno), o precari (per chi lo vede mezzo vuoto).

La professione di giornalista è una vera e propria missione. Probabilmente molti hanno avuto questa vocazione fin da giovanissimi, immaginando di diventare degli eroi e di salvare il mondo svolgendo un mestiere all’insegna della verità, della lealtà e della trasparenza. Ma una volta entrati a far parte del circo mediatico, specialmente al giorno d’oggi e senza nemmeno rendersene conto, si viene inglobati in un sistema che per sopravvivere è costretto a rendere le notizie una mera merce da vendere. Molti cadono nella trappola dell’abitudine senza più chiedersi perché mai hanno scelto di fare il giornalista, dimenticando i valori, l’etica, e soprattutto la responsabilità e l’impatto che hanno su migliaia di lettori, tra cui ci sei anche tu.

È proprio da questa riflessione che, celebrando l’anniversario dell’11 settembre, vogliamo ripartire per ritrovare quei princìpi e quei valori che si sono assopiti durante il percorso. Per sapere cosa stiamo facendo per voi, visita il sito dell’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo.

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Silvio Malvolti

Silvio Malvolti

Ho fondato BuoneNotizie.it nel 2001 con il desiderio di ispirare le persone attraverso la visione di un mondo migliore. Nel 2004 ho costituito l'Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo, che oggi gestisce questa testata: una sfida vinta e pluripremiata.

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