Combattere gli stereotipi sulla Cina e la popolazione cinese in Italia si può fare anche con ironia. Questo è l’approccio di Momokabanana, giovane content creator romana di seconda generazione che su Instagram si definisce “ragazza banana: gialla fuori e bianca dentro”. Ecco la nostra intervista.

Come hai cominciato a creare i tuoi contenuti sui social? Mi riferisco soprattutto ai video su Instagram e su YouTube in cui parli delle differenze tra Cina e Italia e fai informazione per combattere il razzismo. 

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Mi è sempre piaciuto scrivere e parlare di me, perciò fin dall’avvento dei primi blog parlavo della mia vita, senza alcuna velleità divulgativa. Poi, tramite la piattaforma Ask.fm (che permette di ricevere domande in modo anonimo, ndr), hanno cominciato ad arrivare molte domande sulla Cina, spesso basate su pregiudizi. Hanno cominciato ad arrivare anche molti insulti. Lì ho percepito che esistesse il bisogno di sensibilizzare le persone sulla cultura cinese. Non recrimino il fatto che molte cose non si conoscano, si tratta pur sempre di un Paese lontano. 

Poi è arrivato il Covid e questo evento ha avuto fin da subito un contraccolpo sulla mia famiglia, che gestisce un ristorante a Roma e si è vista dimezzare la clientela. Sempre spinta dalle domande che mi arrivavano e dalla curiosità che c’era in merito a un problema che all’epoca era relegato in Cina, ho cominciato a parlarne su Instagram. Si tratta di pillole, naturalmente, ma che hanno la possibilità di arrivare a chiunque. 

Diversamente da molti italiani di seconda generazione, tu hai deciso di imparare il cinese che eri già adulta. Spiegami il perché di questa scelta. 

I miei mi hanno sempre parlato in cinese ma fin da piccola sono stata presa in giro per via del mio aspetto e delle mie origini e questo mi ha fatto sviluppare una sorta di “repulsione” per il cinese. Avevo paura di ricevere ancora più sfottò, quindi mi rifiutavo di parlarlo. A 12 anni c’è stata una sorta di “terapia d’urto”: mia madre mi ha portato in Cina e mi ha lasciata lì per un mese e mezzo con mia sorella. Per “sopravvivenza”, dato che nessuno intorno a noi parlava italiano, abbiamo cominciato a parlare cinese. Per fortuna mi sono decisa a impararlo, anche se oggi non ho una grande padronanza della lingua. I miei nipotini, che vivono in Italia, sono perfettamente bilingui perché i miei fratelli li hanno cresciuti insegnandogli il cinese in casa, sapendo che a scuola poi avrebbero imparato perfettamente l’italiano a scuola, ed è stato così in effetti! Quando ero piccola io era più difficile mantenere un legame con la cultura di origine, perché ad esempio non c’erano tate cinesi e c’era ancora molta diffidenza verso gli stranieri. 

Che significa “ragazza banana”?

Ho iniziato ad adottare questo nome sui social proprio nel periodo in cui usavo Ask.fm, perché rispecchiava perfettamente il mio obiettivo, fare da ponte tra la cultura cinese e quella italiana. Ragazza banana indica una persona “cinese fuori e occidentale dentro”: questo soprannome lo devo alla mia insegnante di cinese che me ne ha spiegato il significato, che ho trovato bellissimo. In America questo termine ha una connotazione abbastanza dispregiativa, una sorta di “mezzosangue” alla Harry Potter. Io però mi sento proprio in bilico tra due culture e ho deciso di riappropriarmi di questo termine anche per togliergli questa accezione negativa. Il mondo sarà sempre più multiculturale e ci saranno sempre più persone di seconda generazione, perciò che male c’è a usarlo?

Quali sono i peggiori stereotipi degli italiani sui cinesi e quali invece quelli che i cinesi hanno sugli italiani?

La mia è una posizione particolarmente scomoda perché, essendo in bilico tra due culture, mi capita di litigare sia con i cinesi che se la prendono con gli italiani che viceversa. Sinceramente, prima del Covid non avevo mai percepito un odio così radicato da parte di alcuni italiani verso i cinesi ed è stata una vera doccia fredda.

Il peggiore stereotipo degli italiani verso i cinesi è come vengono de-umanizzati. “Sono lobotomizzati, non pensano con la loro testa, lavorano tutta la vita”. Questa narrazione mi dà molto fastidio perché disumanizzare l’altro impedisce di creare empatia. Mi capita spesso, quando un mio contenuto diventa virale ed esce dalla mia cerchia di utenti, che sono sempre carinissimi, di scontrarmi con persone che lasciano commenti violenti immotivati. Non ne capisco il motivo perché cerco sempre di essere pacata, ironica e pop, per far arrivare il messaggio a tutti. In uno dei miei video parlo dello stereotipo “i cinesi non muoiono mai” e lo faccio come sempre con ironia ma anche con dati statistici. Non è giusto che, solo perché si parla di cinesi, si possa ridicolizzare un tema come la morte con battute di cattivo gusto. 

Gli italiani dai cinesi vengono visti un po’ come degli scansafatiche; la cosa strana è che un italiano, se è uno straniero a dirlo, si arrabbia ma poi è il primo che si definisce scherzosamente così. 

Cosa pensano i tuoi genitori del tuo lavoro? Te lo chiedo perché mi ha fatto molto ridere un video che hai fatto con tua sorella in cui ironizzi sul fatto che né tu né lei rispecchiate il modello del figlio cinese perfetto.

I miei genitori, da bravi imprenditori pragmatici, hanno cominciato a vedere positivamente quello che faccio quando ho cominciato a guadagnarci. Ho cercato di fargli capire che noi giovani siamo disposti a sacrificare la stabilità e la sicurezza economica per fare ciò che ci gratifica. Penso che i loro timori siano gli stessi di tanti genitori italiani, così come l’argomento “matrimonio”. Avvicinandomi ai 30 anni si preoccupano del fatto che non pensi a “sistemarmi” e a fare figli che si prendano cura di me da anziana. In questo, penso che condividano la stessa mentalità di molti italiani tradizionalisti. 

Quali sono i tuoi obiettivi futuri?

Mi piacerebbe moltissimo tornare in Cina per produrre contenuti “in loco”. Prima del Covid tornavamo molto spesso per visitare le mie nonne. Negli ultimi anni mi sono avvicinata molto alla Cina e sento il bisogno di avere un’esperienza di vita lì. Poi avrei dei progetti a cui vorrei dedicarmi, ma non so se posso ancora parlarne…  Su tutto ciò, però, incombono su di me i fantasmi dei tre esami che mi mancano per laurearmi.

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Giulia Zennaro

Giulia Zennaro

sono una giornalista freelance di cultura e società, scrivo come ghostwriter, insegno in una scuola parentale e tengo laboratori di giornalismo per bambini. Scrivo per Hall of Series e theWise Magazine e, naturalmente, BuoneNotizie.it: sono diventata pubblicista grazie al loro laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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