La giustizia climatica è il concetto secondo cui il riscaldamento globale è una questione etica e politica, non solo circoscritta alla tutela ambientale. Il primo vertice sulla giustizia climatica si è svolto nel 2000 a L’Aia, in occasione della COP 6, la storica Conferenza delle Parti sul clima, a cui partecipano ogni anno i Paesi che aderirono alla Convenzione ONU, firmata nel 1992 a Rio de Janeiro.

Lì, per la prima volta nella storia, le istituzioni misero nero su bianco che “il cambiamento climatico è una questione di diritti”. Questa presa di posizione ha determinato una svolta sul piano formale – da cui la successione sempre più ricorrente di appuntamenti mondiali per concertare strategie condivise –  ma non altrettanto sul piano sostanziale, almeno fino al pre-pandemia.

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Dalla filantropia alla giustizia climatica

Negli ultimi anni, però – complici le manifestazioni sempre più evidenti del cambiamento climatico – si è fatta largo l’idea che la filantropia per la giustizia climatica sia il punto di intersezione che ingloba in sé tutte le cause che storicamente hanno attratto le donazioni.

Questo perché la giustizia climatica concilia le politiche di inversione e contenimento con il sostegno concreto ai Paesi più poveri, vittime delle conseguenze causate da altri. In questo modo svolge una funzione facilitatrice in chiave intergenerazionale, trainando la tutela dei mezzi di sussistenza per le generazioni future. Come ha ribadito Mary Robinson – fondatrice dell’omonima fondazione ed ex – prima donna – presidente della repubblica d’Irlanda – in definitiva:

La giustizia climatica concentra la nostra attenzione sulle persone, piuttosto che sulle calotte glaciali e sui gas serra; questo rende più tangibile la minaccia del climate change.

Le cause “Cenerentola”

Un’indagine della Ong Rockfeller Philanthropy Advisors nel 2020 ha evidenziato come la filantropia climatica rappresenti una fetta marginale delle donazioni globali, solo l’8%. Il settore dell’educazione e della lotta alla povertà hanno catalizzato per lungo tempo il resto dei fondi, in modo esclusivo.

Su questo aspetto si è esposta Florence Miller, direttrice dell’Environmental Funders Network (EFN), che ha definito le categorie di intervento ambientale – ad esempio la conservazione della terra, dell’acqua e la tutela della biodiversità – le “cause Cenerentola”.

L’accostamento con la condizione di subalterna della principessa Disney, è molto intuitivo.

Lo stesso riscatto del personaggio fiabesco lo stanno avendo anche le “cause verdi”, come ha confermato Melissa Berman, CEO della stessa Ong che ha condotto l’indagine.

Fonte: report “Funding trends: climate change mitigation philantropy”

Di questo, troviamo conferma nel quotidiano britannico The Guardian secondo cui nel 2020 le donazioni a favore di questi progetti nel Regno Unito sono state di 250 milioni di sterline, più del doppio rispetto al 2016. Una crescita positiva considerevole, seppur mitigata dal fatto che rappresentassero solo il 4% del totale.

La giustizia climatica avanza dopo la pandemia

D’altro canto, anche dalle piccole donazioni si innescano grandi cambiamenti. È il caso della Polden-Puckham Charitable Foundation a Counter Balance, che grazie alla somma di 20 mila sterline ha condotto una campagna che ha convinto la Banca europea per gli investimenti – braccio finanziario dell’UE nonché maggiore investitore pubblico in Europa – a porre fine ai finanziamenti per i combustibili fossili dal 2021 in poi.

I progetti per il ripristino della biodiversità massimizzano il beneficio di contributi filantropici anche moderati. Un esempio concreto è stato realizzato per la reintroduzione dei castori selvatici in Scozia, grazie al finanziamento di 200 mila sterline da parte del People’s Trust for Endangered Species. Il progetto – Scottish Wildlife Trust – ha permesso di traslocare dei gruppi familiari di castori dalla Norvegia e rilasciarli nella foresta di Knapdale, nel centro di Argyll. Il monitoraggio è andato a buon fine e il governo scozzese ha autorizzato che i nuovi abitanti rimanessero allo stato brado, dove continuano a popolare quelle foreste tutt’oggi.

È stata la prima reintroduzione in natura di un mammifero estinto da 400 anni nel Paese e ha portato numerosi vantaggi: il rinnovamento dei boschi cedui e la costruzione di dighe che hanno aiutato il ripopolamento della trota atlantica, come confermato da uno studio postumo.

Un’altra “causa Cenerentola” è stata portata avanti con l’iniziativa del World Economic Forum “1t.org”, per il decennio di ripristino degli ecosistemi entro il 2030. Il punto di partenza è stato uno studio sulla copertura potenziale delle chiome arboree a livello globale, da cui è emerso un margine di miglioramento potenziale enorme: circa 1 miliardo di ettari di terreno degradato che potrebbe ospitare copertura ulteriore.

Da lì, la realizzazione di questo progetto, grazie al quale, a partire dallo scorso anno, è iniziata la piantumazione per raggiungere un trilione di alberi (entro il 2030), così da immagazzinare 205 gigatonnellate di carbonio. Marc Benioff – CEO di Salesforce  e finanziatore del progetto stimato di dieci miliardi di dollari – ha dichiarato in proposito: “Nessuno di noi può fare tutto, ma tutti devono fare qualcosa”.

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Roberta Nutricati

Roberta Nutricati

Laureata in Lettere Moderne a Siena e in Relazioni Internazionali a Torino. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna per un anno, ho conseguito un master in Europrogettazione e il riconoscimento alla Camera dei Deputati come Professionista Accreditata presso la Fondazione Italia-USA a Roma. Collaboro con il settimanale TheWise Magazine e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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