Tu sei Pinocchio, il gioco è Mangiafuoco”. Così Marco (nome di fantasia) dipinge il legame che intercorre tra il gioco d’azzardo e un giocatore dipendente, un legame di cui riesce a parlare con una certa consapevolezza ora che è riuscito a spezzarlo, grazie alla voglia di riprendersi la sua vita e all’aiuto del gruppo Giocatori Anonimi Italia.

Gioco d’azzardo, la tirannia del padrone

Adesso Marco è un giocatore in recupero, libero dalla schiavitù del gioco d’azzardo, un padrone che annienta, domina e che ancora oggi, ogni tanto, torna a tormentarlo: “A volte ho degli incubi, sogno che sto giocando, mi sveglio pensando di esserci ricaduto. Tu puoi non pensare al gioco, ma stai sicuro che lui pensa a te” racconta. Quando era un giocatore compulsivo niente riusciva a trattenerlo, “Sentivo che dovevo giocare: se mentre giocavo qualcuno mi fosse caduto davanti gli avrei dato un calcio per scansarlo“.

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Quello che si prova mentre si gioca non è semplice da descrivere, è un senso di onnipotenza, di iper lucidità, tra vincere e perdere non c’è differenza, ciò che conta è continuare a farlo, “mentre giochi credi di poter dominare, guidare la sorte”, spiega.

La difficoltà di aiutare un giocatore risiede anche nel fatto che le persone a lui vicine faticano ad accorgersi del baratro in cui è precipitato: “Noi giocatori siamo bravissimi a mentire, facciamo finta che tutto vada bene, abbiamo una vita parallela” confessa, e ricorda che dei suoi quarant’anni il gioco se n’è divorati quasi la metà.

Poi il risveglio, l’affetto per la sua famiglia, per il suo bambino, l’amore che ti afferra e ti mette davanti a te stesso: “Mia moglie mi ha detto parole che sono per me un marchio “fatti curare da uno bravo”: non avevo nemmeno più i soldi per comprare il latte a mio figlio. Pensi di riuscire a smettere da solo ma non è così, ho tentato di togliermi la vita, ho raschiato il fondo, così sono entrato nel gruppo“.

Giocatori anonimi, un mutuo aiuto

Giocatori Anonimi Italia è un gruppo di mutuo aiuto le cui parole d’ordine sono “accoglienza” e “fratellanza“.

Per entrare a farne parte l’unico requisito è il desiderio di smettere di giocare. I gruppi sono presenti in tutta Italia, è garantito l’anonimato e le riunioni avvengono con cadenza settimanale; niente medici o psicologi, solo giocatori che si confrontano e sostengono a vicenda. Il loro filo d’Arianna è il “Programma dei 12 Passi“, un metodo nato in origine per combattere la dipendenza dall’alcool, ma che si è rivelato efficace contro ogni forma di dipendenza, sia comportamentale che da sostanze, tanto che la sua validità è stata riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I 12 passi sono principi che, se interiorizzati e assunti come guida della propria vita, aiutano chi soffre a liberarsi dalla compulsione e dalla dipendenza in un cammino di consapevolezza e di crescita personale. Il primo passo recita: “Abbiamo ammesso di essere impotenti nei confronti del gioco e che le nostre vite erano diventate incontrollabili“.

“Tutti i passi sono importanti, ma secondo me il primo lo è più degli altri perché devi riconoscere di avere un problema –  osserva Marco – dopo quattro mesi ho cominciato a stare meglio. A oggi non gioco da sei anni, quattro mesi e sette giorni; una delle regole del gruppo è tenere il conto, è così bello” e la voce gli s’incrina, segue un attimo di silenzio.

Questi sei anni sono la sua vittoria, sono il secondo tempo della sua vita: “Ora mi sento rinato, ho conosciuto un me stesso di cui non sapevo nulla“, ma del gioco non ci si libera mai completamente, non è un ricordo che seppellisci nella memoria in attesa che gli anni lo rendano sempre più sbiadito e dai contorni indistinti.

La vita non va scambiata con un’illusione

“Io morirò giocatore: è vero non gioco più, ma non si guarisce mai del tutto, non devi mai sfidare il gioco. Il giorno che dico sono guarito è il giorno che ci ricasco, frequenterò il gruppo per tutta la vita” spiega.

La sua sicurezza è la sua paura: “Ti fa ragionare, la paura ti tiene lontano dal gioco, non mi sento sicuro di me, la paura mi accompagnerà sempre e va bene così“.

Giocare d’azzardo è un’esperienza che ti sottrae a te stesso, ma quando sopravvivi a un’esperienza estrema e guardi in faccia il limite, qualcosa impari: “Ho capito che la mente umana è fragile, spesso si va a cercare la cosa più semplice. Molti pensano che il gioco d’azzardo sia il modo più facile di guadagnare senza lavorare, ma ti giochi la vita. In una sala slot non ci sono orologi, finestre, le luci sono studiate apposta per farti perdere la cognizione del tempo, ma l’unica cosa davvero preziosa che non avrai più indietro è proprio il tempo. I soldi li recuperi non giocando, ma il tempo non te lo dà più indietro nessuno. Ieri mi sono svegliato che avevo vent’anni. Oggi ne ho quarantadue, mi guardo indietro e se mi chiedo cos’ho fatto vent’anni fa non lo ricordo” confida Marco.

Un consiglio ai genitori si sente di darlo: Attenti ai telefonini, sono un’arma fenomenale per il gioco d’azzardo“, e la sua voce si anima: “la vita è importante e non va scambiata con un’illusione, perché è il più grande fallimento che ti puoi portare dentro”. Questa è una certezza che Marco ha, e lo afferma senza paura.

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Carlotta Mantovani

Carlotta Mantovani

Mi sono laureata in filosofia per cercare di comprendere il fondamento dei fenomeni. Questo interesse si è poi veicolato verso la dimensione morale, portandomi a cercare di analizzare le questioni inerenti la società e le nuove tecnologie. Vorrei fornire un’informazione capace di abbracciare questi temi prospettando anche soluzioni alla complessità della realtà. Da qui la scelta del giornalismo costruttivo. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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