Negli ultimi anni stiamo assistendo a una polarizzazione del dibattito pubblico che si riflette negativamente anche sul modo in cui molti media tradizionali comunicano. Tra titoli urlati, articoli faziosi, pubblicità e assenza di contradditorio il mondo del giornalismo sembra in crisi. Non è un caso che l’Edelman Trust Barometer 2024, che misura annualmente la fiducia dei cittadini nelle principali istituzioni, abbia registrato un generale clima di sfiducia nei confronti dei giornalisti.

Per questo motivo, abbiamo chiesto a Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento, associazione italiana che lavora per l’esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale,  giornalista e direttore della rivista “Azione nonviolenta”, se la comunicazione nonviolenta, un modello comunicativo basato sull’empatia e l’ascolto dell’altro, possa rappresentare una possibile soluzione alla crisi del giornalismo.

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Mao Valpiana. In che cosa consiste la comunicazione nonviolenta?

Esistono molte definizioni di comunicazione nonviolenta. Spesso si parla di linguaggio giraffa, l’animale con il collo e il cuore più grandi al mondo, una sorta di metafora che rappresenta l’empatia e la visione a lungo termine. 

È  una definizione che funziona, ma nella ricerca di una filosofia della nonviolenza, penso sia più importante concentrarsi sulla sostanza.

A questo proposito, più che dare una definizione, faccio un esempio. La nonviolenza e la comunicazione nonviolenta erano gli elementi centrali dell’attività del Mahatma Gandhi, che, ricordiamolo, era soprattutto un giornalista. A parte la sua autobiografia, infatti, e pochi altri scritti, tutto ciò che leggiamo di Gandhi è tratto dai suoi articoli. E nei suo pezzi, il senso profondo è solo uno: la ricerca della verità. Credo che chi voglia approcciarsi alla comunicazione nonviolenta debba partire leggendo Gandhi, che ne rappresenta il punto di partenza ineludibile.

Come si coniuga la ricerca della verità gandhiana con il giornalismo?

Intanto una precisazione. Quando parliamo di “ricerca della verità” nell’opera del Mahatma Gandhi, bisogna sottolineare che “verità” era uno dei tanti nomi con cui Gandhi identificava Dio. Pertanto, cercare “Dio” o “il Dio-verità” equivale a una ricerca profonda, sia intellettuale che spirituale. Una ricerca che coinvolge l’intelligenza e l’anima. Questo concetto, a mio avviso, influisce profondamente sullo stile di scrittura di Gandhi, ma è qualcosa che si ritrova anche nei lavori di Don Lorenzo Milani.

Entrambi si rivolgevano a una popolazione poco istruita, quindi dovevano comunicare in modo chiaro e accessibile: ogni parola era pesata attentamente perché doveva essere comprensibile a tutti.

Il modo in cui scrivevano, quindi, richiedeva un grande esercizio e una ricerca continua, sia negli obiettivi dell’articolo che nei mezzi utilizzati e nelle parole scelte. 

A mio avviso, la chiarezza e la ricerca della verità sono due dei principi fondamentali che contraddistinguono la comunicazione nonviolenta e che devono guidare il lavoro del giornalista.

Antidoto alla crisi del giornalismo. Nella foto, Mao Valpiana parla seduto a un tavolo decorato con le bandiere della Nonviolenza.

Congresso del Movimento Nonviolento con Francesco Vignarca, Mao Valpiana e Mauro Biani. Fonte: Facebook – Mao Valpiana

A questo proposito, cosa deve fare un buon giornalista? Con un giornalismo in crisi, caratterizzato da crescente polarizzazione, fake news, notizie urlate è ancora possibile parlare di “ricerca della verità”?

Quando bisogna raccontare un fatto o un argomento, ci sono alcuni elementi fondamentali che non si devono trascurare.

Intanto, è essenziale documentarsi seriamente prima di scrivere un articolo. Personalmente, dedico molte ore alla ricerca e allo studio.  Questo processo di documentazione è cruciale nella buona riuscita del pezzo e, tra l’altro, rende la stesura dell’articolo molto più agevole.

Poi, come insegnava Alexander Langer, è fondamentale avere sotto mano due cose ben precise: un buon archivio e un buon indirizzario. Secondo me, insieme allo studio e alla ricerca, sono due aspetti fondamentali per il lavoro del giornalista.

Il giornalista deve essere come un buon investigatore. Tramite le fonti e la ricerca deve arrivare il più vicino possibile alla verità. Guardando le persone che intervista e le fonti che utilizza, puoi capire il giornalista che hai davanti.

La comunicazione nonviolenta come entra in gioco in tutto questo?

Purtroppo, oggi, si scrive soprattutto per attirare l’attenzione, in un’ottica di guadagno che danneggia tutto il settore dell’informazione. E quando c’è di mezzo il profitto è difficile cambiare le cose.

La comunicazione nonviolenta, però, ci insegna alcune cose.

Innanzitutto, ci dice che è fondamentale ascoltare le opinioni di tutti e, soprattutto, quanto sia importante comprendere le ragioni dell’altro. Questo è in controtendenza rispetto alla polarizzazione che si registra ultimamente, ma per il giornalista è fondamentale tenere in considerazione ogni aspetto di un fatto per scrivere un buon articolo.

Poi, soprattutto nelle situazioni di attualità, come nel caso di eventi bellici, è essenziale dare voce alle vittime, invece che copiare lanci di agenzia già pronti, lanciarsi in opinionismi non richiesti, o peggio, in manipolazioni faziose, mosse da meri fini editoriali o propagandistici. Senza fare tutte queste cose, è difficile costruire un articolo basato su fatti reali, una narrazione che si avvicini il più possibile alla verità di cui parlavamo prima.

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Marzio Fait

Marzio Fait

Marzio Fait. Mi occupo di comunicazione per il non-profit. Ho partecipato come observer alla COP 27 e alla COP28. Mi occupo di attualità, di diritti umani e di giustizia climatica. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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