Se nella vita reale alcune azioni comportano delle conseguenze – anche sul piano giuridico –, lo stesso dovrebbe accadere in quella “virtuale”. A tale principio si ispira il Digital Services Act, la legge europea intesa a garantire la sicurezza e la trasparenza delle piattaforme digitali – oltre alla moderazione dei loro contenuti.

Entrata effettivamente in vigore da pochi giorni, essa riguarda i social network, i motori di ricerca, i siti di e-commerce e altre società che offrono servizi online. In ogni caso, queste nuove norme europee sono più rigide nei confronti delle piattaforme “Big Tech” – tra cui Facebook, Instagram, TikTok, YouTube, Amazon e Google –, che raggiungono un numero elevato di utenti.

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Più trasparenza e maggiore attenzione ai contenuti web

Lo scorso 25 agosto è diventato operativo il Digital Services Act (DSA). Esso comprende una serie di norme europee – rivolte alle piattaforme digitali – relative alla trasparenza, alla tutela degli utenti (compresi i minori) e alla lotta alla disinformazione. Da un punto di vista formale, questa legge era già entrata in vigore nell’autunno nel 2022, ma le aziende avevano tempo fino al 25 agosto di quest’anno per adeguarsi alle sue indicazioni.

Innanzitutto, il DSA richiede alle piattaforme digitali di essere più trasparenti sulle proprie attività e sul proprio modus operandi. Esso prevede, ad esempio, che le aziende condividano i dettagli sul funzionamento dei propri algoritmi con le autorità preposte ai controlli. Inoltre, le nuove norme europee prescrivono che le aziende siano più vigili nel filtrare, bloccare o rimuovere contenuti pericolosi o nocivi.

Alle aziende viene anche richiesto di rimuovere in tempi brevi i contenuti inopportuni, e di sospendere gli utenti che si siano più volte resi responsabili di violazioni. Per tutte queste ragioni, il DSA prevede che siano effettuati controlli annuali nei confronti delle piattaforme. Le quali, nel caso di infrazioni ripetute, possono a loro volta essere sanzionate – con multe pari anche al 6 percento del fatturato annuo.

La vigilanza sulle grandi piattaforme digitali

Nato come aggiornamento di una direttiva sull’e-commerce che risale a circa vent’anni fa, il DSA si applica a tutte le aziende attive nel web. Tuttavia, mentre a quelle meno grandi è stato dato più tempo per potersi adeguare al regolamento, alle major l’Unione europea ha voluto metter più pressione. Sono infatti i sopracitati colossi “Big Tech” – social network e piattaforme con oltre 45 milioni di utenti al mese – le aziende più attenzionate.

Un esempio emblematico è quello di TikTok. Per ragioni anche politiche (si tratta di un social cinese), esso è una delle piattaforme digitali tenute maggiormente “sotto osservazione” dall’Occidente. Nondimeno, mantenere dei buoni rapporti con l’Europa è vitale per un social come TikTok. Ed è per questo che – in un comunicato del 28 agosto – l’azienda ha dichiarato di non voler essere da meno di Meta e Google nell’adeguarsi al DSA, e alle nuove tutele da esso introdotte.

Negli ultimi mesi, per esempio, TikTok è intervenuto sui cosiddetti contenuti personalizzati. Si tratta di contenuti scelti dall’algoritmo in base agli interessi e alle interazioni di ogni singolo utente. Da oggi, su TikTok sarà possibile disattivare tale processo, scegliendo di visualizzare solo i contenuti “più popolari”. Inoltre, la piattaforma cinese ha introdotto il divieto di mostrare pubblicità personalizzata agli utenti minorenni (come hanno fatto anche Facebook e Instagram).

Piattaforme digitali: una questione che riguarda non solo i contenuti

Le nuove norme europee si concentrano anche sugli aspetti economici riguardanti le piattaforme online. Ad esempio, i siti di e-commerce avranno l’obbligo di rintracciare i venditori per poter evitare le frodi. Inoltre essi dovranno intervenire – sempre in un’ottica di maggiore trasparenza – sugli algoritmi di ricerca, dando agli utenti l’opportunità di sceglier anche delle alternative. Infine, i termini e le condizioni d’utilizzo dovranno essere illustrati in modo semplice e chiaro, e in tutte le lingue dei Paesi dell’Unione europea.

Non è casuale il fatto che, insieme al DSA, l’Unione europea ha concepito anche un “accordo sui mercati digitali”, detto Digital Markets Act. Si tratta di un piano di regolamentazione che ha lo scopo di arginare il monopolio delle aziende “Big Tech” sul mercato, contrastando eventuali abusi. L’obiettivo è dar vita a condizioni di mercato più eque per chi opera nel settore informatico.

Digital Services Act: misura indispensabile o rischio per il pluralismo?

L’introduzione del DSA ha generato – sia fra gli esperti che a livello di opinione pubblica – un dibattito complesso. Difatti, da un lato c’è chi vede in esso una misura che, fissando dei “paletti” chiari, servirà a proteggere il web dai comportamenti scorretti (ad esempio, l’uso improprio dei dati personali o la diffusione di messaggi d’odio). Tuttavia, c’è anche chi prospetta il rischio che si arrivi a censurare – insieme a ciò che è pericoloso – anche ciò che si discosta dalle narrazioni mainstream, mettendo in pericolo il pluralismo dell’informazione.

La sfida che riguarda il futuro digitale dell’Europa, dunque, sarà in sostanza questa: trovare un equilibrio tra il sanzionamento di ciò che è illecito e la difesa, irrinunciabile, della libertà di opinione. La necessità di regolamentare il “Far West” digitale, infatti, non può prescindere dai valori essenziali su cui la stessa Comunità europea ha posto le sue basi.

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Edoardo Monti

Edoardo Monti

Ho lavorato per anni come freelance nell'editoria, collaborando con case editrici come Armando Editore e Astrolabio-Ubaldini. Nel 2017 ho iniziato a scrivere recensioni per Leggere:tutti, mensile del Libro e della Lettura, e dal 2020 sono tra i soci dell'omonima cooperativa divenuta proprietaria della rivista.

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