Il sistema di ricerca in Italia è tutt’altro che fermo e la traduzione di quelle innovazioni in realtà tecnologica resta aperta e possibile, nonostante la scarsezza di risorse umane e finanziarie a sostegno dell’incontro tra mondo della ricerca e delle imprese.

In che modo in Italia si promuove la traduzione delle idee in realtà e quali modelli possiamo concretamente seguire per restare al passo con le esperienze di altri Paesi?

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Dal ricercatore all’impresa: come avviene il trasferimento tecnologico della ricerca in Italia?

In un contesto in cui in Europa crescono i finanziamenti per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, il CNR nella sua annuale “Relazione sull’innovazione in Italia” ha evidenziato gli spunti di miglioramento per la ricerca che abbiamo visto.

Un ruolo cruciale è il “trasferimento tecnologico”, ovvero quelle attività che permettono di attirare gli investimenti necessari a realizzare poi l’innovazione frutto della mente del ricercatore. Il Trasferimento tecnologico nel nostro come in altri Stati europei avviene attraverso specifici Uffici o “TTO” che dovrebbero mettere in connessione mondo accademico e imprese.

Ma molto del successo di questi uffici e del Sistema “Ricerca” in generale dipende da come questi uffici lavorano.

Come si finanzia il sistema della ricerca all’estero?

All’estero le modalità di funzionamento di questi uffici è diversificata ma il loro studio permette di cogliere alcuni spunti da riportare in Italia.

La Oxford University, ad esempio, attraverso il suo TTO, la “Oxford University Innovation” fornisce ai ricercatori consulenza commerciale e tutela brevettuale e, attraverso società di consulenza no profit come la Oxford Innovation Society (OIS), aiuta poi i clienti esterni a interagire con i ricercatori attraverso “Forum x Open Innovation”, accordi di collaborazione per attività di ricerca pubblico/privato. I risultati? Notevoli: nel 2021 ha ottenuto un ritorno complessivo di 9,2 milioni di sterline per i ricercatori e l’Università e spinto investitori privati a investire in società spin-off, oltre a sviluppare appositi spazi di lavoro per tutte le iniziative di start-up promosse.

E in Italia?

Dalla Ricerca all’applicazione tecnologica: come avviene in Italia

Anche in Italia le esperienze di trasferimento tecnologico che coinvolgono Università italiane ed Imprese passano per Uffici noti come “Unità Valorizzazione della Ricerca” (UVR). Nonostante il personale dedicato e altamente formato sia duplicato rispetto al 2004 e la crescita della spesa in ricerca, il numero di unità impiegate è ancora troppo basso rispetto a quello di altri Paesi.

Come avviene questa “valorizzazione” della ricerca?

Attualmente il 50% della valorizzazione diretta è costituita da accordi di licenza legati al ritorno economico in base al successo della tecnologia sul mercato (modello win-win). Poi ci sono gli “accordi di cessione” dell’invenzione ai grandi gruppi industriali e il brokeraggio che attualmente riguarda solo il 4% degli accordi e che implica la presa in carico della gestione del brevetto e dei suoi costi da parte di un soggetto diverso dall’inventore.

Come migliorare il rapporto fra ricerca e imprese?

Per superare quella che lo stesso CNR definisce una “valle della morte” tra la ricerca e lo sviluppo industriale servono, secondo l’Istituto, “finanziamenti Proof-of-Concept” ovvero espressamente dedicati a sostenere le attività di test, convalida e maturazione per portare l’invenzione dalla ricerca a una fase più matura in grado di attrarre l’interesse di società private o di investitori.

Negli ultimi anni il MISE ha sostenuto con 5,3 milioni di euro il Bando PoC 2020 per la valorizzazione dei brevetti promosse dalle Università, dagli Enti Pubblici di Ricerca e nel 2022, il MISE ha rifinanziato la misura attraverso il PNRR. I risultati tangibili sono stati due: da un lato il co-finanziamento di progetti di sviluppo e validazione di tecnologie proposte dai ricercatori dell’Ente, dall’altra la raccolta di finanziamenti per accelerare la tecnologia verso la costituzione di imprese spin-off.

In particolare, il Programma di PoC AMICO26 ha finanziato progetti della durata di 12 mesi anche in sinergia con imprese private e con alto potenziale di impatto tecnologico, in grado di Innalzare il grado di maturità tecnologica dei propri prodotti e processi di due punti.

Ricerca e impresa: in cerca di punti di incontro

Le caratteristiche del sistema della Ricerca e il confronto con le esperienze straniere testimoniano da un lato la necessità di sviluppare in Italia programmi specifici, coordinati rispetto a obiettivi industriali “strategici” ma anche, come afferma il CNR, garantire maggiore continuità nei rapporti con le imprese innovative senza la pretesa di volere ricominciare “ogni volta da capo”.

Occorre anche creare spazi per un’assistenza di tipo “soft” allo sviluppo tecnologico, alle start up, alla formazione di capacità imprenditoriale all’interno delle organizzazioni di ricerca.

Ma soprattutto occorre creare ecosistemi per la nascita di nuove imprese che attraggano investitori finanziari disposti ad accompagnare il trasferimento dalla Ricerca alla Realtà industriale. In un mondo industriale come quello italiano si potrebbe puntare sullo svolgimento delle attività di R&S in partenariato, e creare “punti di accesso”, fisici e virtuali, a livello territoriale proprio per andare a cercare le piccole e medie imprese che quella innovazione stanno cercando e che, invece, è più vicina di quanto si pensi.

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Antonio Mazzuca

Antonio Mazzuca

Dal 2007 sono redattore editoriale tecnico-giuridico esperto e formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro e tutela ambientale. Sono il coordinatore editoriale della Testata tecnica InSic.it e dal 2015 editore della testata culturale registrata Gufetto.press dedicata al mondo della cultura off per le quali scrivo news, articoli, recensioni, interviste e approfondimenti e svolgo formazione ai redattori sia per la parte critica che redazionale e per la scrittura in ottica SEO.

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