Nonostante se ne parli da decenni, il tema della discriminazione razziale all’interno degli stadi rimane un argomento di costante attualità. Solo nel 2023, l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori è ripiombata in questo clima di livore in diversi momenti; l’episodio del 7 maggio, in cui ad essere stato vittima di cori razzisti è lo juventino Dusan Vlahovic, si accoda a quello di poche settimane fa che ha interessato Romelu Lukaku.

Una questione, quella del razzismo nel calcio italiano, che da oltre trent’anni non sembra desistere e continua a creare clamore. Le leggi ci sono, la tecnologia anche: partire dal loro utilizzo è sicuramente la strategia più concreta ed efficace che può essere utilizzata per limitare, in futuro, il verificarsi di episodi discriminatori e arrivare a scongiurarli definitivamente.

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Le leggi che normano la discriminazione negli stadi

«Quali provvedimenti il Governo intende adottare per far sì che l’apertura del prossimo campionato di calcio sia improntata ai valori dell’antirazzismo, della solidarietà tra diversi e del rifiuto dell’intolleranza xenofoba?».

È con questa domanda che Eugenio Melandri – deputato di Rifondazione Comunista – il 17 giugno del 1992, si rivolge ai Ministri del turismo e spettacolo e degli affari sociali. Il periodo è quello in cui le tifoserie – di Udinese prima e Verona poi – tengono sotto scacco le società sportive: i friulani fanno di tutto per impedire alla presidenza Pozzi di chiudere la trattativa per l’acquisto di Ronny Rosenthal, attaccante israeliano, al grido di “Ebrei non li vogliamo!”, mentre i veronesi fanno lo stesso con Aron Winter, ebreo di origine surinamese. In Italia si iniziava, o meglio si tornava, a respirare un’aria pesante, carica di intolleranza.

Pochi mesi dopo, ecco la promulgazione della legge Mancino (205/1993): sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla violenza, la discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. L’articolo 28 del codice di giustizia sportiva, regolato dalla Figc, punisce con la squalifica per dieci o più giornate di campionato, oltre che con un’ammenda che va dai 10 ai 20mila euro, coloro che adottano un comportamento discriminatorio.

Per i tifosi, in particolare, una delle sanzioni più utilizzate è il Daspo (divieto di accedere alle manifestazioni sportive): esso punisce, oltre i responsabili di risse, lanci di oggetti e aggressioni di qualsiasi natura, coloro che si rendono protagonisti di cori razzisti e discriminatori. Non sempre, però, è facile individuare – tra le migliaia di persone presenti allo stadio – i diretti responsabili delle azioni discriminatorie. La tecnologia nel calcio può rappresentare un aiuto prezioso per la giustizia – sia ordinaria che sportiva – e diventare, con il tempo, anche uno strumento di prevenzione.

La tecnologia per contrastare i cori razzisti

Telecamere all’avanguardia, sistemi di sicurezza moderni, riconoscimento facciale: sono questi alcuni degli accorgimenti tecnologici che servono al sistema calcio per debellare un problema che va avanti da decenni. Non si tratta più soltanto di modernizzare gli stadi per adeguarsi allo standard europeo; creare nuovi impianti, o almeno rinnovare quelli esistenti, permetterebbe anche di andare a colpire i tifosi che si sentono ancora liberi di dare sfogo ad atteggiamenti discriminatori e cori razzisti, che siano ideali comuni di una determinata tifoseria o risentimenti personali di alcuni individui.

In Italia sono pochi gli impianti che possono vantare un tale bagaglio tecnologico, e uno di questi è sicuramente l’Allianz Stadium di Torino, esemplare sotto questo punto di vista. Sono centoquindici le telecamere di cui dispone l’impianto, ventitré delle quali dotate di obiettivi in grado di identificare nitidamente i tifosi presenti allo stadio, grazie a pixel all’avanguardia e zoom ravvicinati. Le registrazioni di queste telecamere permettono di identificare i tifosi che si rendono responsabili di cori razzisti o di qualsiasi altro gesto di intolleranza verso un’etnia, religione o nazione.

Le indagini svolte in seguito agli episodi di Juventus-Inter del 4 aprile scorso – partita nella quale alcuni tifosi di casa lanciarono cori offensivi indirizzati al nerazzurro Romelu Lukaku – hanno permesso alla Questura di Torino di sottoporre al provvedimento Daspo 171 tifosi bianconeri. Tutto ciò è stato reso possibile grazie ai documenti audio e video forniti dalle telecamere presenti allo stadio; seguire questa strada, quindi, potrebbe essere di spunto per tante altre società sportive del panorama italiano, che spesso si trovano impossibilitate nell’identificare i protagonisti di comportamenti razzisti a causa dell’assenza di filmati o prove inoppugnabili.

Come può agire l’arbitro in caso di cori razzisti

Oltre alla tecnologia, un altro metodo che scoraggerebbe azioni di odio e intolleranza da parte dei tifosi è l’interruzione (e conseguente sospensione su competenza del responsabile dell’ordine pubblico) della gara al primo segnale del loro verificarsi. L’articolo 62 delle norme Figc attribuisce al direttore di gara la facoltà di interrompere il gioco in caso di cori razzisti o episodi analoghi. Anche se si tratta di un provvedimento che raramente viene intrapreso, a meno che non si tratti di fatti ripetuti e prolungati nel corso di una partita, rimane senza ombra di dubbio la soluzione più efficace per disincentivare casi di razzismo all’interno degli stadi. L’interruzione della partita non appena l’arbitro dovesse percepire, durante il suo corso, schiamazzi di intolleranza, garantirebbe che non si debba più assistere, con il tempo, a momenti del genere.

La strada da seguire, quindi, è tracciata: affidarsi alla tecnologia e all’autorità dell’arbitro permetterebbe, a lungo andare, di creare stadi sempre più tolleranti e di non perdere la via che porterebbe episodi razzisti e discriminatori a essere casi sempre più sporadici e isolati.

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Tommaso Barbiero

Tommaso Barbiero

Nasce a Busto Arsizio, nel varesotto, 25 anni fa. Laureato in Scienze della Comunicazione, attualmente collabora con due testate giornalistiche: Buonenotizie.it e Sprint e Sport. Scrive di sport, ma anche di ambiente e sostenibilità. Crede nel potere della parola come strumento per fare buona comunicazione, che sia propositiva e costruttiva, oltre che seria e affidabile. Aspirante pubblicista, scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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