Sei attore, musicista? L’arte non paga – si sa – e la crisi infuria, quindi (oltre all’arte) anche i teatri iniziano a non pagare: fra gli “addetti ai lavori” si leva ogni giorno un più che giustificato coro di proteste. Il panorama non è però del tutto uniforme e per fortuna c’è anche chi ha reagito alla crisi e alla prospettiva di entrate sempre più magre e intermittenti “riciclandosi” e facendo delle proprie competenze artistiche una base di partenza per battere nuove strade e percorsi lavorativi al passo con i tempi.

Mi sono diplomata in violoncello con i massimi voti: concerti con gli allievi del Conservatorio, poi con altri professionisti, applausi, complimenti. Presto, però, ho cominciato a capire che qualcosa girava storto. Hai presente quel film di Virzì… ‘Tutta la vita davanti’? Ecco, detto in parole povere: nel giro di qualche mese ho iniziato a capire che con applausi e complimenti facevo una gran fatica a pagare affitto, spesa e bollette.”  25 anni, voce squillante, marcato accento friulano: Marta V. parla fitto fitto e non ha la faccia di chi si arrende facilmente; racconta ciò che potrebbero raccontare molti altri dei suoi compagni di viaggio: concerti che, dopo otto mesi, devono ancora essere pagati, posti di insegnamento inaccessibili, curricula cestinati, nepotismo. Ma la storia non finisce qui: Marta, senza deporre il violoncello, decide di percorrere una nuova strada e inizia a studiare musicoterapia. Perché? Per quale motivo, soprattutto, un musicoterapeuta dovrebbe avere lavorativamente più chances di un concertista? Marta risponde senza esitare: “Attraversiamo un periodo di crisi e il disagio non riguarda solo i disoccupati, ma anche chi il lavoro ce l’ha e cerca di tenerselo lottando con le unghie e con i denti e sostenendo ritmi lavorativi sfibranti: lo stress è una malattia di moda, oggi e prima o poi, finisce col tradursi in patologie rispetto alle quali molte persone cercando l’aiuto di terapie alternative rispetto alla medicina tradizionale. La musicoterapia è una di queste. Il malessere della società moderna apre uno sterminato campo d’azione per chi voglia cimentarsi in discipline di questo tipo.

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Niente di più vero: basta pensare che, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nei “Veteran Hospitals” americani, i musicisti venivano assoldati per influire positivamente sullo stato di salute dei reduci affetti da trauma post-bellico. Il potere curativo della musica è stato spesso e volentieri messo al servizio di chi soffriva di gravi forme di stress psico-fisico. È fuor di dubbio che, considerata da questa prospettiva, la riscoperta del potere curativo dell’arte possa tradursi in nuove opportunità lavorative. Chiediamo a Marta se ci sono degli “effetti collaterali”, se – per un musicista – intraprendere un percorso professionale di questo tipo può portare con sé qualche problema. “Purtroppo sì. In questo senso l’ostacolo principale è una sorta di snobismo, diffuso fra molti musicisti; sono in tanti a non vedere di buon occhio il fatto che un collega ‘ricicli’ le proprie competenze in ambiti diversi da quello concertistico o didattico: è un atteggiamento miope, che non tiene conto del fatto che anticamente la musica aveva un ventaglio di applicazioni molto più ampio rispetto a quello attuale.”

 

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