La cancel culture è un approccio culturale che consiste nell’ “atteggiamento all’interno di una comunità che richiede o determina il ritiro del sostegno a un personaggio” e si esprime attraverso forme di pressioni sociali e richieste di eliminazione di quanto non conforme ad una precisa posizione ideologica, un concetto che va oltre la critica o il richiamo a delle scuse formali.

Come nasce e dove si sviluppa

Per capire cosa è la cancel culture bisogna partire dagli Stati Uniti. Il dibattito si è acceso proprio nel mondo anglosassone nel 2017. In questo periodo un gruppo di utenti si è organizzato informalmente per difendere gli interessi della comunità Afroamericana. La comunità virtuale costituitasi col nome di Black Twitter ha condotto una manifestazione di protesta contro il linguaggio oltraggioso e discriminante utilizzato nei media. [in seguito a cosa?]

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Le proposte di intervento hanno assunto il carattere di un revisionismo rafforzato intervenendo su categorie linguistiche e culturali al fine di riaggiornarle in linea con le conquiste sociali in termini di diritti e uguaglianza.

Nel 2019 l’espressione cancel culture è stata eletta parola dell’anno dagli esperti del Macquarie Dictionary. Nel tempo il termine si è arricchito di accezioni sempre più peggiorative. A questo proposito si è espresso anche il noto linguista Noam Chomsky affermando che “il mainstream, incluso il mondo aziendale, ha sempre implementato una forma estrema di ‘cancellazione della cultura’ distruggendo i libri… gli editori, distruggendo le carriere accademiche, mettendo a tacere le voci che non gli piacciono” evidenziando di fatto il rischio di un passaggio da una cultura basata sulla cancellazione di espressioni, forme, strumenti ad una cancellazione della cultura.

La cancel culture è ora un termine ombrello sotto il quale si fanno ricadere diverse situazioni. Nel caso di Harvey Weinstein, noto produttore Hollywoodiano accusato di molestie, la cancel culture si è manifestata come ostracismo e denuncia da parte dell’opinione pubblica. Nel caso invece della morte di George Floyd, vittima di un arresto conclusosi nel peggiore dei modi, essa si è concretizzata nella rimozione di oggetti, riferimenti e opere legate alla storia del razzismo americano.

Come riconoscere gli esempi di cancel culture in Italia

Il fenomeno ha preso piede pian piano anche in Italia venendo accostato spesso al politically correct, ossia la tendenza a garantire un equilibrio alla manifestazione di orientamenti, di espressioni e di pensiero su un determinato argomento di interesse generale.

Bisogna far chiarezza su ciò che si fa rientrare tra gli esempi di cancel culture. Nel caso della libraia che a Tor Bella Monaca, nella primavera del 2021, si rifiutò di vendere un libro di Giorgia Meloni è più opportuno parlare di boicottaggio più che di cancel culture. Più attinente al fenomeno preso in esame è l’episodio della proposta avanzata dai Sentinelli di Milano, nella primavera del 2020, di rimuovere la statua di Montanelli dal giardino a lui dedicato, proprio in seguito agli eventi legati a George Floyd.

Un caso concreto di cancel culture, invece, è quello che ha coinvolto lo scrittore Paolo Nori che, nel marzo 2022, si è visto cancellare una sua lezione su Fëdor Dostoevskij presso l’Università Bicocca di Milano al fine di evitare eventuali polemiche in relazione alla delicata situazione internazionale.

Atteggiamenti di questo tipo non sono nuovi. La tendenza alla gogna, alla stigmatizzazione, alla censura ci sono sempre stati nella storia, bisogna invece tener presente che la realtà è complessa è che qualsiasi evoluzione culturale non avanza attraverso processi di eliminazione ma d’integrazione.  È utile dunque rivalutare un approccio generativo all’informazione per non cedere alla tentazione del senzionalismo e sviluppare un pensiero critico.

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Giacomo Capodivento

Giacomo Capodivento

Insegno religione dal 2012. Laureato in Comunicazione e Marketing e studente in Comunicazione e innovazione digitale. Per me occuparmi di comunicazione è una questione politica. Oggi collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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