Dietro il commercio equo e solidale vi è un tipo di accordo concepito per aiutare i produttori dei Paesi in via di sviluppo a raggiungere relazioni commerciali sostenibili ed eque. I membri del movimento, pagando agli esportatori una cifra superiore alla media europea, ne migliorano gli standard sociali, economici ed ambientali.

Se da un lato la pandemia ha reso il 2020 un anno difficile in termini di rapporti interpersonali, dall’altro il movimento del commercio equo e solidale è riuscito a garantire i suoi impegni con i produttori, i soci e i cittadini. L’assemblea di Equo Garantito, l’associazione di categoria che rappresenta circa 70 organizzazioni di commercio equo e solidale operanti in Italia, in occasione del traguardo dei 20 anni compiuti, ha presentato il Rapporto Annuale 2023, ovvero il documento che ogni anno raccoglie ed analizza i dati inerenti al fair trade, il commercio equo, partendo da alcune parole chiave alla base degli ideali dell’associazione: garanzia, educazione, rete, attivismo, parità, clima, diritti e futuro.

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Stando ai dati del Rapporto Annuale 2023, in Italia ci sono 3.465 volontari, 28.792 soci e 442 lavoratori, di cui la percentuale femminile oscilla tra il 64-71%. Inoltre, le botteghe solidali in Italia sono circa seicento e sono specializzate in prodotti artigianali provenienti principalmente dal Sud del mondo.

Il 52,2% delle botteghe equo-solidali ha lo status di associazione, mentre il 24% sono cooperative. Aumentano del 12% gli acquisti da produttori del commercio equo e solidale per un totale che sfiora i 14 milioni di euro e i ricavi crescono del 9%, toccando gli oltre 66 milioni.

Commercio equo e solidale. Come nasce

Uno dei primi tentativi del commercio di beni in modo equo e solidale ebbe luogo nei mercati del Nord Europa tra gli anni Quaranta e Cinquanta da parte di organizzazioni non governative: Ten Thousand Villages e SERRV International furono le prime a sviluppare catene di commercio equo e solidale nei paesi in via di sviluppo per far crescere aziende economicamente sane nei paesi più sviluppati e allo stesso tempo garantire ai produttori e ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso.

Tuttavia l’organizzazione del commercio equo e solidale è oggetto di severe critiche da parte di studiosi e giornalisti, che lamentano la carenza di controlli sulle produzioni agricole, ma anche sul modo stesso di operare. Alcuni dei principi che dovrebbero puntualmente essere rispettati sono trasparenza e responsabilità, rispetto dell’ambiente e assenza di sfruttamento sul lavoro soprattutto quello minorile.

Soprattutto per questo la WFTO – l’Organizzazione Mondiale del Commercio Equo e Solidale, ha emanato nel 2018 un documento denominato Carta del Commercio Equo e Solidale che pone al centro i valori fondanti e si apre alle sfide della lotta al cambiamento climatico e del raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.

Fairtrade. Best practice nel commercio equo e solidale

Fairtrade è un movimento internazionale che mira alla sostenibilità, ai diritti umani e a quelli ambientali ed è specializzato tra l’altro nel settore del caffè, con 656 organizzazioni di coltivatori ed un’industria che ha un valore di oltre 90 miliardi di euro.

Tra i requisiti del gruppo anche la parità di genere, per rendere le donne in grado di accedere personalmente ai propri benefici. In questo senso una best practice si trova nel Sud del Rwanda, dove circa 3000 donne coltivano ed esportano il 100% del loro prodotto ricavandone migliori entrate e indipendenza a livello finanziario, grazie alla cooperativa tutta al femminile Angélique’s Finest, che coltiva e trasforma il suo caffè, coltivato da 2.852 contadine, socie di sei cooperative diverse. Angélique’s Finest prende il nome da Angélique Karekezi, amministratrice delegata di Rwashoscco, un’azienda di proprietà delle sei cooperative, che gestisce la vendita del caffè sul mercato internazionale.

Le donne possono tutto. Devono solo affrontare le barriere culturali – spiega Angélique Karekezi a FairTrade Italia – essendo socie delle cooperative e vendendo il loro raccolto tramite Rwashoscco, le donne possono guadagnare in proprio non dovendo più dipendere dai loro mariti. Vendere il loro caffè brandizzato le rende orgogliose anche perchè si identificano sempre più con il loro prodotto”.

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Vincent Truppo

Vincent Truppo

Tra i miei focus principali, abbattere gli stereotipi che talvolta non danno la possibilità di conoscere realmente chi ci circonda, la definizione del termine stereotipo rappresenta appieno il mio lavoro. Con enorme piacere collaboro con BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare giornalista pubblicista.

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