Ne parliamo con Federico Grazzini, fisico meteorologo presso il Servizio Idro-Meteo-Clima dell’Arpae Emilia-Romagna – agenzia regionale per l’ambiente e l’energia – nonché assegnista di ricerca presso l’Università LMU di Monaco di Baviera, dove dedica i suoi studi all’analisi dei fenomeni di precipitazioni estreme.

Meteo e clima sono legati a doppio filo. Il primo ci consegna ogni giorno dei segnali sempre più inequivocabili che ci raccontano il cambiamento climatico, che a sua volta ci parla attraverso “il tempo di ogni giorno”. Un campo di studio molto complesso, ma rispetto al clima – di cui parlano scienziati e attivisti – è percepito come più famigliare e accessibile, per via della frequenza con cui ne riceviamo notizie e la facilità con cui reperiamo informazioni. E qui vengono i nodi da sciogliere.

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Che differenza c’è tra meteo e clima? Partendo dalla risposta che il New York Times diede un paio di anni fa alle dichiarazioni scettiche di Trump: “il meteo è simile alla quantità di soldi che hai nel portafoglio oggi, il clima è l’intero patrimonio”.

Il nostro portafoglio è temporaneo e molto variabile, mentre il clima è la risultante di tutte le nostre entrate e uscite. Dobbiamo giustamente distinguerle perché le scale di tempo sono diverse, ma la climatologia è il risultato della grande media di quello che “succede” ogni giorno – quindi alle scale di tempo più corte – prevedibili grazie alla meteorologia. Se cambia il clima, cambia anche il meteo. Le due cose si parlano.

Parlando di meteo, la strategia comunicativa dominante si fonda su un registro lessicale allarmante: picchi sempre eccezionali, tutto “da record”, ma rispetto a cosa e a quando? È utile o giustificato il tono epocale e sensazionalista?

Io su questo sono critico: i toni apocalittici vanno usati quando questo si vede nelle misure. Anche tra la comunità scientifica la parola record ricorre, ma il motivo è veramente giustificato  dall’aumento in frequenza di eventi estremi, la caratteristica che più lega il cambiamento climatico al meteo di ogni giorno. L’ultimo Report Ipcc parla chiaramente di “attribuzione”: pochi decimi di grado in più bastano per aumentare sensibilmente i fenomeni estremi, quali ondate di calore e precipitazioni troppo intense per il lasso di tempo in cui si verificano.  Questo aumento della frequenza è la misura dell’impatto del cambiamento climatico sulla società, perché è tangibile, non vago come dire “la temperatura aumenta di 1 o 2 gradi”. Ci vuole quindi un “panico attivo” che stimoli l’azione e la presa di coscienza. Ad esempio, i record di caldo sono effettivi, quelli di freddo invece si riferiscono al periodo in cui si presentano le “gelate”, ma non si tratta di temperature mai osservate prima. Questo significa che assistiamo da tempo a uno slittamento in avanti del freddo, il quale arriva in modo tardivo e si protrae anche fino ad aprile. Facendo però mediamente più caldo, la vegetazione e gli alberi da frutto fioriscono in anticipo, salvo poi perdersi completamente a causa del gelo successivo.

Dunque di alluvioni, nubifragi, trombe d’aria si parla di più ma sono anche più frequenti. Eppure sono percepiti ancora così violenti da risultare incontrastabili se guardiamo i danni ingenti degli episodi recenti. Se è così, cosa si può fare?

La resilienza della nostra società è aumentata grazie a sistemi di allerta più efficaci, ma di contro abbiamo venti sempre più intensi e più beni esposti. Quindi si alza l’asticella di protezione, ma anche il nemico si rafforza… è un continuo rincorrersi. A rischio ci sono intanto le grandi aree costiere e le aree di pianura, tenute asciutte da argini, idrovore e continui rifacimenti del terreno sabbioso che contrasta l’erosione marina per l’innalzamento delle acque. Le alluvioni nelle città crescono, a fronte di grandi quantità di acqua che cadono violentemente in brevissimo tempo e di reti di smaltimento presenti che sono state pianificate sulla base del clima di inizio ‘900 e dimensionate su valori ormai obsoleti. Rifare le reti è un’opera titanica, ma bisogna partire dalle situazioni macroscopiche: città attraversate da corsi d’acqua tombati ( NdR: chiusi tramite cementificazione o tecniche simili) per varie finalità. In quei casi la pressione idraulica è pericolosa in caso di esplosione delle tubature perché crea corrente, che trasporta cose e persone. Gli allagamenti senza corrente fanno danni relativi. Nelle nuove città questa pratica è da bandire assolutamente per agire, poi, con strategie di intervento diversificate.

Oltre alla manutenzione adeguata delle aree marine e urbane da applicare “per livelli di gravità”, la forestazione sembra l’alleato decisivo non sfruttato, o non abbastanza. Alla Pre-Cop26 di Milano si è parlato di 3 milioni e mezzo di ettari “abbandonati” – specie negli Appennini – che potrebbero ospitare 2 miliardi di alberi.

Certamente, si potrebbero e si dovrebbero fare molte cose. Specie in un Paese come il nostro, particolarmente sensibile al rischio meteo-idrogeologico e idraulico. Infatti, nei miei studi in Germania mi occupo di come prevedere meglio gli eventi estremi di precipitazione con un occhio di riguardo all’Italia che sfortunatamente è molto soggetta a questi fenomeni. Io ho il sogno di vedere una Pianura Padana parzialmente forestata. Attraversandola in treno da Monaco a Bologna, si notano queste distese enormi con terreno brullo, spesso arato. Mesi e mesi di esposizione del terreno nudo, deleteria per le emissioni perché questo cede carbonio all’atmosfera. La materia organica del terreno si impoverisce, si ossida e non assorbe nulla. Uno spreco pazzesco dal punto di vista emissivo. Ovviamente molte delle produzioni sono per alimentare gli allevamenti intensivi, che uniti a pratiche agricole sorde all’impatto – primario– che hanno sull’inquinamento, alimentano il circolo vizioso che sta producendo questi effetti, sul meteo nel breve periodo e sul clima nel lungo.

Credits Ed Hawkins

A proposito di modelli climatici in evoluzione e da rivedere, anche il clima mediterraneo “notoriamente” mite si sta trasformando? In che modo?

Il clima mediterraneo è cambiato. Prima le Alpi erano la linea di confine naturale, ora non più perché il nostro clima si sta uniformando con il clima sub-tropicale africano che a sua volta si sta espandendo verso Nord. Di conseguenza, quella proverbiale mitezza rimane per gli inverni, a fronte di estati torride. In questo senso il Mar Mediterraneo come bacino è uno degli hotspot climatici: si sta scaldando e “inaridendo” velocemente. È il segnale più forte delle tabelle emerse dalla revisione degli articoli svolta dal rapporto Ipcc. In tutti i modelli di simulazione climatica infatti viene confermato questo quadro specie in estate, con fenomeni di pioggia intensa in autunno.

Quindi le previsioni meteo sono ancora attendibili? Spesso ricorre l’idea che siano inesatte per via del tempo imprevedibile e delle famose “mezze stagioni che non ci sono più”, per dirla con un luogo comune. 

 La previsione meteorologica è già migliorata tantissimo e la sua attendibilità continua a crescere. Lo stesso fenomeno che 30 anni fa si riusciva a prevedere con 1 giorno di anticipo, ora è possibile prevederlo con 3 giorni di anticipo, con la stessa accuratezza. Il rapporto dunque è di un giorno di miglioramento della previsione ogni 10 anni di ricerca. È una delle scienze (anzi, l’unica) che riesce a fornire previsioni così puntuali su un sistema così complesso. Per fare un parallelismo, si può applicare la stessa stima alla previsione del moto dei pianeti, ma in questo ultimo caso l’oggetto di studio sono pochi corpi che si muovono seguendo leggi fisiche e non un sistema, come un fluido, che interagisce con molte altre variabili e dunque tendenzialmente più instabile. Questo è il caso della meteorologia, ed è una conquista, un’evoluzione consistente.

Insomma se la percezione comune è diversa, dipende dalle fonti utilizzate? Dove è meglio informarsi?

Una premessa doverosa è che l’informazione in Italia è complicata in questo campo scientifico. Storicamente non abbiamo mai avuto un servizio meteorologico nazionale, un’autorità centrale che occupasse uniformemente di questo aspetto. Da qui la nascita di servizi regionali, i quali lavorano bene ma con tutti i limiti di questa frammentazione su scala nazionale. Un utente medio o un turista che si sposta tra le regioni ha un panorama fin troppo ampio dinanzi a sé, che genera confusione quando non scarsa credibilità se pensiamo alle app che troviamo di default sugli smartphone. Io stesso mi chiedo da chi vengano raccolti e filtrati quei dati che aggiornano minuto per minuto. Se il personale non è qualificato, c’è una sovrainterpretazione che produce inaffidabilità, a tutti i livelli. Senz’altro per le allerte meteo c’è un’apposita sezione sempre aggiornata sul portale ufficiale della Protezione Civile. Detto ciò, nell’attesa che si realizzi Italia Meteo – la nascente agenzia italiana per la meteorologia – il tentativo più vicino all’obiettivo di rendere univoco il lavoro svolto da questi servizi regionali si è concretizzato facendo confluire in un unico sito nazionalemeteoregioni.it – le previsioni di tutti i servizi meteo regionali. Una sorta di “aggregatore” in forma di cartina interattiva, sulla quale è possibile digitare un punto qualunque della nostra penisola per accedere direttamente al servizio regionale di competenza.

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Roberta Nutricati

Roberta Nutricati

Laureata in Lettere Moderne a Siena e in Relazioni Internazionali a Torino. Dopo aver vissuto e lavorato in Spagna per un anno, ho conseguito un master in Europrogettazione e il riconoscimento alla Camera dei Deputati come Professionista Accreditata presso la Fondazione Italia-USA a Roma. Collaboro con il settimanale TheWise Magazine e scrivo per BuoneNotizie.it grazie al laboratorio di giornalismo per diventare pubblicista.

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